Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

lunedì, ottobre 29

Philips ha lanciato sul mercato un nuovo prodotto: Philips Bodygroom. Si tratta di un rasoio elettrico per radersi o accorciarsi i peli del corpo. In occasione del lancio commerciale del prodotto ha indetto un concorso tra i blogger invitandoli a scrivere un post sui peli; i proprio o quelli di altri. Per altre informazioni andate: qui!
Ci provo anch’io. Tanto lo sapete che il profumo della competizione mi porta a fare le cose più rischiose e meno adatte alla mie capacità. Un po’ come è successo a Licia Colò che ha accettato di partecipare a “Ballando con le stelle”, pur essendone negata. Quindi ecco la mia storia. E cercherò di essere sincero, senza peli sulla lingua, appunto.

Quella con i peli la si può veramente definire una guerra. E l’idea che un macchinino me li possa estirpare senza colpo ferire, mi da veramente una sensazione di onnipotenza. Pensate che stia esagerando a paragonare i peli ad un esercito? Pensateci bene: anche uno solo di “quelli” vi può ammazzare se vi finisce in gola e non riuscite, con un bel colpo di tosse, a cacciarlo fuori. Figuratevi cosa possono fare se si organizzano. Ecco in realtà a cosa serve la biancheria intima. Mutande e magliette della salute cercano solo di circoscrivere i faziosi ed evitare che si uniscano. Infatti abbiamo il sospetto che i perizoma siano passati dalla parte del nemico!
Esiste la Svizzera. Paese pacifico dove tutto scorre lento e felice. Si chiamano persone glabre.
Tra l’altro se solo George Bush mi avesse fatto una telefonata, gli avrei spiegato l’inutilità della guerra preventiva. Per anni l’ho praticata con risultati penosi. Quando preventivamente mi radevo completamente tutto il corpo, la sera dopo incontravo qualcuno che amava alla follia solo e solamente gli uomini villosi. Dopo aver incassato il colpo, me li lasciavo crescere. Ed ecco che si palesa nella tua vita la persona perfetta che però è totalmente repellente ai peli. Manco fossero peli di gatto che provocano allergia!
Insomma, loro mi odiano. Quando dico “loro” intendo i peli. Gli altri a volte mi hanno anche amato, passando sopra (per una volta) al loro rifiuto o dipendenza ai peli.
Tra l’altro proprio come gli eserciti veri e propri, i peli sono supportati da tutta una serie di spalleggiatori locali. Brufoli, irritazioni cutanee, arrossamenti, eritemi lottano usando solo pietre per difendere il loro esercito. Qualcuno dovrebbe dirglielo che non siamo più delle scimmie, e abbiamo anche perso i contatti con i nostri parenti di Neanderthal, ricoperti da lunghi peli bruno-nerastri. Insomma farebbero meglio a schierarsi con i nuovi regnanti, no?!? Ma forse loro non vedono MTV e non vanno al cinema. Non sanno che ormai l’uomo villoso non va proprio più.
Per quanto mi riguarda adesso ho una relazione con qualcuno che ama i miei peli, anche i più antiestetici sulle spalle. Ad ogni modo io continuo una volta all’anno a depilarmi. Ormai è una data importante: come il Natale per i cristiani, o il 25 Aprile per quelli come me. Lo faccio prima delle vacanze. Mi dico che i peli fanno ombra, e quindi compromettono l’abbronzatura. E poi i peli fanno sudare di più, e quindi anche puzzare di più. In realtà per me continuano a rimanere dei nemici e preferisco non correre rischi in quei 10 giorni all’anno di vacanza. Non si mai cosa potrebbero inventarsi.Tra l’altro so che la depilazione totale può dare risalto solo ad un fisico privo di difetti, e fa sembrare me un pollo spennato pronto per il forno. Adesso mi limito a ridurre drasticamente la lunghezza dei peli senza eliminarli del tutto. Insomma sono sceso a patti e compromessi. Grande lezione di vita: ogni guerra si dovrebbe vincere solo con la diplomazia internazionale.

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venerdì, ottobre 26


Ci sono due belle disussione che tengono banco su internet in questi giorni. Questi i miei contributi:



Posso dire la mia? Secondo me (e modestamente sono un pubblicitario di un agenzia internazionale ;-))l'immagine è centratissima.
Perchè ogni gay è stato un neonato, indipendentemente che la sua omosessualità sia genetica, biologica, scelta, copiata da altri, imposta dai genitori, o indotta dalla visione di un film.Quindi l'immagine chiede proprio di accettare il fatto che un gay è una persona come tutte le altre, come lo sono i neonati che sono tutti uguali proprio perchè hanno pochi e uguali bisogni (mangiare, dormire e cacare). Un neonato lo si ama allo stesso modo, proprio perchè non ci interessa se da grande farà il presidente di una società o il parcheggiatore abusivo.
Il nervo scoperto è che un immagine così non lascia via di scampo a chi non ama i gay. Perchè quando si parla di adulti gay loro possono partire con i loro "ma", i loro "se" e i loro "però" tirando in ballo tutta una serie di luoghi comuni che vanno da George Michael che batte nei cessi fino al fatto che i gay non procreano e quindi uccidono la società. Invece questa immagine chiede di accettare il gay in quanto persona in divenire, a priori, qualsiasi cosa poi decida di fare o di diventare in futuro. Ed è qui che casca l'asino, perchè si tratta di dire appunto che un bambino gay (o se vogliamo fare contento Vattimo, "un bambino che da grande sceglierà di farà l'amore con persone dello stesso sesso") è uguale agli atri bambini che invece da grandi faranno sesso con persone del sesso opposto.Poi le sue azioni (tipo fare sesso occasionale tra i cespugli) potranno essere giudicate successivamente, secondo la propria morale.Ma a partire dal fatto che sul piatto della bilancia i due orientamenti sessuali abbiano lo stesso valore. Insomma la foto vuole sottolineare che dobbiamo tutti (etero, gay, trans, lesbiche, mancini, grassi, magri, daltonici etc) partire dal stesso punto di partenza, senza pole position. Una volta che "rinasceremo" tutti uguali come valore della persona, potremmo discutere delle eventuali differenze.

2)
Sul blog di Daria Bignardi si discute della fontana di Trevi colorata di rosso.

Tutte le cittè sono invase da azioni di guerrilla Marketing da parte di aziende. Non hanno risparmiato nulla. Hanno usato ogni dove per piazzare messaggi pubblicitari o creare eventi per far parlare o incuriosire. Se la stessa fontana dipinda di Rosso fosse stata fatta (a suon di milioni di Euro al comune) da Vodafone per lanciare la sua nuova tariffa, allora si sarebbe parlato di "comunicazione commerciale che porta l'arte a contatto con i consumatori". Mi spiego?
Tra l'altro il rosso stà diventando il coloro della rivolta: penso alla Birmania, alla fontana, e alle mani della tizia che ieri ha "braccato" Condoleeza Rice!

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giovedì, ottobre 25

il 15 Ottobre 2007 si è celebrato in tutto il mondo il Blog Action Day, ed il tema di quest'anno è stato l'ambiente. La richiesta era di creare, per quel giorno, un post relativo all'ambiente, usando lo stile, forma o modo che si preferiva. L'idea alla base dell'iniziativa è proprio quella di creare un effetto di massa, condividendo più storie e idee possibili tutti insieme.
Io arrivo con 10 giorni di ritardo, ma sono certo che il problema della difesa dell'ambiente sia ancora attuale.


La mia amica Chiara si è impegnata a fare ricerche su costi/ effetti degli additivi presenti nei prodotti per la casa (detersivi in genere) e nei prodotti per la cura della persona (che di voi li usa sa che mi riferisco a bagnoschiuma e shampoo).
Dopo aver sentito attraverso una Tv intelligente (per una volta) i danni procurati da un componente in particolare sodio laureth phosphate è andata al super mercato armata di pazienza in pausa pranzo e ha letto tutte (sono serio, davvero tutte!) le etichette dei prodotti in vendita lì e, udite udite, era presente in OGNI prodotto.
In poche parole, non c'è possibilità di scelta, non ci sono prodotti che non abbiano sodio laureth ph. se non in erboristeria o su internet.
I prezzi sono chiaramente più alti, ma visto il prezzo per l'ambiente...
http://www.econsumi.com/home/contatti.php

Se volete dare un'occhiata...a me a fatto riflettere.


PRODOTTO ECO COSTO LT/KG PRODOTTO NORMALE COSTO LT/KG
Det. Piatti Ecover € 4,40 Dixan Piatti € 2,18
Ammorbid. Ecover € 4,40 Fabuloso € 2,77
Det. Lavatrice l € 8,74 Ava € 2,40
Det. pavimenti € 5,00 Smac Pavimenti € 2,56
Ecoland
Lavastov. polvere € 4,73 Pril € 3,31
Det. Eco WC € 5,20 Anitra WC €2,53

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mercoledì, ottobre 24


Una visione “romantica” vuole che i talenti si scoprano per caso. E così è successo con “Musica da Cucina” che come vi ho già raccontato qui, ho visto come apertura al concerto della Amiina la scorsa settimana a Bologna. Mi ha colpito subito la capacità di trasmettere con la loro musica un certo spirito, un atteggiamento particolare verso la vita molto caratteristico, che si prova quando si entra in contatto spirituale (onesto) con se stessi. Magari proprio in un momento inaspettato, mentre si stà cucinando un uovo. Proprio in un momento così (apparentemente) banale si può capire di colpo chi siamo e dove stiamo andando.
Insomma più o meno la gioia che deve aver provato Pippo Baudo la prima volta che ha sentito cantare Giorgia e ha deciso di sponsorizzarla. E così ho contattato MusicaDaCucina su MySpace e gli ho rivolto qualche domanda sul suo progetto.

Se volete sentire qualche pezzo andate qua
Se volete andarlo a vedere, queste sono le prossime date annunciate sulla sua pagina MySpace:
Firenze – Festa della creatività – 26 Ottobre
Fidenza (PR) – Primo Piano Caffè – 21 Novembre

1) Mi descriveresti il vostro processo compositivo? Come avviene il passaggio dalla fase di campionatura e ricerca dei suoni alla fase di composizione vera e propria? Pensi ai rumori da mettere nei dischi costantemente? Magari mentre stai cucinando e senti quel particolare rumorino...
Avviene molto semplicemente ascoltando il suono nel momento stesso in cui l’oggetto da cucina lo produce... sento quello che ha da dire, che melodia ispira, con che strumenti o oggetto sente un legame... e così si sommano (o sottraggono) suoni e melodie.
Una volta fatto questo interviene l’aspetto diciamo più razionale che taglia e cuce le melodie create durante l’improvvisazione, in modo da costruire una canzone
2) Lasciamo un attimo la cucina. Cosa fischietta Fabio Bonelli sotto la doccia? Ovvero cosa ascolti e da dove arrivano le tue ispirazioni?
Ascolto cose molto diverse, non direttamente connesse con quello che faccio con “musica da cucina”... Il mio gruppo preferito, quello che non ho praticamente mai smesso di ascoltare, sono i Fugazi (sia per la musica che per l’attitudine)... E poi Beatles, dEUS, Pogues, Mum, Fitness Pump, The Books... Tanta musica classica, e i suoni del mondo...
3) Il tuo set dal vivo è molto intimo. Anche visivamente l'ambientazione della cucina contribuisce a creare uno strano effetto, quasi teatrale. La tua è più una ricerca stilistica da fare in studio o preferisci il live, con la contaminazione del pubblico?
Il progetto è un progetto essenzialmente live, anche il cd (prodotto da City Living di Giacomo Spazio) è basato essenzialmente su registrazioni live e solo tre tracce registrate in studio. Questo perchè il senso più vero del progetto è quello di entrare nelle case della gente, ed entrare in sintonia con le persone che la vivono... conoscere il mondo e l’umanità girando nelle cucine, un luogo intimo, quasi sacro della casa...
4) E se dovessi dare un nome al tipo di musica che fate (cosa che probabilmente non ti piace), come la definiresti?
Ambient - Folk concreto ??!!
5) Immaginiamo che per il prossimo disco decidessi di usare dei vocalist e ipotizziamo che potessi scegliere chiunque. Quali sono le voci che più ti emozionerebbe usare per il tuo disco? Useresti la voce come strumento/rumore come hanno fatto Bjork e i SigurRos?
Userei la voce di mia nonna, che ora non c’è più...
6) Cosa aspetti a fare un blog di MusicaDaCucina? Magari con tante ricette! :-)
Sarebbe bello farne uno con i racconti dei luoghi e delle persone che ho incontrato durante i miei concerti. Con questo progetto ho veramente avuto la possibilità di suonare in posti stravaganti e bizzari: dietro al bancone di un bar, ad un rinfresco per un battesimo, a festival di musica elettronica, a festival cyberpunk, per strada, in rosticceria, durante colazioni e cene, davanti a bambini ed anziani...

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martedì, ottobre 16

Se vedete questa locandina in un cinema della vostra città, scappate! Se proprio siete coraggiosi mettete in salvo le donne incinte e i bambini sotto i dieci anni. Ma scappate prima che si faccia buio in sala.
"Angel" è semplicemente il film più brutto che abbia mai visto in tutta la mia vita. (Per intenderci peggio della perla trash “Favola” con Ambra Angiolini oppure “Bambola” con Valeria Marini). La delusione è ancora più cocente visto che si tratta di uno dei registi europei più eclettici e visionari d’Europa: François Ozon (“8 donne e un mistero”, “La piscina”, “Sotto la sabbia”, “Cinque per due”).
Il film è decisamente un “vorrei ma non posso”. Basti pensare che la sceneggiatura è tratta da un libro di Elizabeth Taylor, omonima della diva: più “vorrei ma non posso” di così non si può!
Racconta l’ascesa (e il declino) di una modesta ragazzina inglese all’inizio del secolo scorso, che guadagna un notevole ed esplosivo successo come scrittrice di libri melò. Questo successo tanto desiderato e inseguito caparbiamente non la metterà al riparo dalle bruttezze e insidie della vita vera che la porteranno ad una fine triste e solitaria.
I dialoghi sono i più banali mai sentiti e raggiungono quasi l’offensivo. Può una moglie dire al marito appena tornato mutilato dalla guerra: “Su hai solo perso una gamba, mica sei morto. Domani ti compro una sedia a rotelle”?
Alcune scene sono imbarazzanti. Quando i personaggi viaggiano in carrozza lo sfondo è più finto che manco su “Via col vento”. La recitazione è eccessiva e fumettistica (l’occhio destro strizzato della protagonista nelle scene di ira è degno della pernacchia d’oro!).
Unica nota positiva: Charlotte Rampling, che interpreta un piccolo ruolo con il suo solito incontrastato magnetismo.


Voto: ZERO stelline (su cinque)

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lunedì, ottobre 15


Meno male che non ho vinto le primarie. Perché stamattina sono stanchissimo e non avrei nessuna voglia di cambiare l’Italia. Chiariamo subito una cosa: io non sono andato a votare per Veltroni. Il Partito Democratico non mi rappresenta visto le componenti che l’hanno generato. I candidati non hanno detto niente che mi abbi positivamente influenzato. Solo Furio Colombo, che prima si era candidato ma poi si è ritirato, mi avrebbe dato qualche motivo per seguire la competizione elettorale. Ma visto che ho deciso che io non li voterò, non vedo perché andare da impicciarmi a casa degli altri. Mica vado a dire a mia cognata con che detergente pulire l’alone fastidioso e giallastro che ha nel suo piano cottura; mi limito a guardarlo con un sopraciglio alzato, ma non sarebbe giusto mettere becco.


Venerdì come vi avevo anticipato sono andato a sentire il concerto delle AMIINA. E’ stato un evento straordinario e devo dire che l’ascolto del disco non riesce a far apprezzare appieno la loro musica, che deve essere “vissuta” dal vivo per avere il suo compimento. Per chi c’è già stato sa che il palco del COVO è veramente piccolo e quindi poco adatto per un set delle quattro ragazze. Non aspettatevi un set statico di un normale quartetto d’archi che stà sempre seduto a suonare concentrato violini, viole, violoncelli e contrabbassi. No, le Amiina fanno di più. Infatti durante l’esecuzione di ogni pezzo le ragazze lasciano la loro postazione (e il relativo strumento) per andare in un altro punto del palco a suonare un’altra “cosa”, perché non sempre si può parlare di strumenti veri e propri. Oltre al classico Mac con cui riproducono suoni campionati, le islandesine suonano pure bicchieri, arpe, xilofoni e anche le classiche seghe da boscaiolo (vedi foto)! Tutte suonano tutto, girando sul palcoscenico come farebbe una squadra di pallavolo. Da quartetto, in un modo onirico e magico, si trasformano in una vera e propria orchestra bizzarra che utilizzando questa strumentazione acustica riesce a catturare e condensare i suoni provenienti dalle varie parti del mondo in un lavoro di contaminazione globale senza confini. Non hanno niente di pop (nessun ritornello), non sono (post)rock (nessuna apertura alla sigur ros) ma sono minimal-ambient. Nonostante la complessità armonica lo spettacolo propone una musica imprevedibile, sognante, portatrice di atmosfere ricercate (magari un po’ retrò, come i loro costumi di scena) ma molto intima e partecipe. Non è un esibizione manieristica, distaccata o prettamente tecnica. Sarà anche per il modo elegante e sexy con cui le ragazze si muovono sul palco ma la loro partecipazione si avverte dal pubblico.

Prima di loro si è esibito un progetto italiano “Musica da Cucina”, che in realtà è un ragazzo di Sondrio: Fabio Bonelli. Come le CocoRosie nel loro primo disco usavano i rumori dei giocattoli, in questo progetto si usano i rumori degli utensili da cucina. Vengono campionati dal vivo i rumori di stoviglie, mestoli, acqua e si crea un tappeto sonoro dove aggiungere qualche strumento (chitarra e clarinetto). Mai e poi mai avrei pensato che il fischio di un bollitore potesse essere la migliore corista in circolazione, quella con più estensione vocale e la maggior capacità di tenere ( e prolungare) una nota. Rumori che diventano musica, perché non la si può definire in altro modo. Per lo Zingarelli, la musica è “l’arte di combinare più suoni in base a regole definite, diverse a seconda dei luoghi e delle epoche”. E invece la definizione di rumore è “qualsiasi fenomeno acustico, generalmente irregolare, casuale e non musicale, specialmente se sgradevole, fastidioso, molesto, nocivo“.
Una musica che propone Fabio Bonelli non nasce da viaggi lontani o esperienze esterne ma invece è ispirata da abitudini, da gesti quotidiani. La cucina diventa un guscio di emozioni che ci sono indispensabili, proprio come il cibo. E’ la musica dell’ambiente, quella che fa parte della nostra vita, ma che spesso non conosciamo. E quindi ci serve un artista che la “viva” e la tecnologia che la amplifichi. La cucina di casa nostra ha un sacco di cose da raccontarci, se solo qualcuno ce la fa ascoltare. Preparare dei cibi significa creare armonia, coordinamento, voglia di raggiungere un obiettivo definito, ma ancor più, significa mettere in gioco la responsabilità e la fiducia che ci porta a “cibarci”dei piatti preparati dalle “mani di tutti”.

Ieri pomeriggio dopo un week end passato a Ravenna, il mio ragazzo si è stretto e mi ha detto che era stanco e aveva voglia di andare a casa. Se la mia vita fosse un film sarebbe partito un pezzo di “Musica da Cucina” e la scena successiva sarebbe stata nella mia cucina.


Voto: 4 stelline e ½ (su cinque)


Il sito della Amiina: www.amiina.com
La pagina MySpace delle Amiina: http://www.myspace.com/amiina
La pagina MySpace di “Musica da cucina”: http://www.myspace.com/musicadacucina

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martedì, ottobre 9


Sabato ho iniziato ( e finito) il nuovo libro di Jonathan Coe, “La pioggia prima che cada”.
Sostanzialmente il libro è la trascrizione di alcune musicassette che un anziana donna registra prima di morire cercando di raccontare la storia di tre generazioni della sua famiglia. (effettivamente può ricordare “Va dove ti porta il cuore”, ma non è così melenso)

La registrazione è destinata a una lontana parente che l’anziana donna non vede da anni, in quanto è stata adottata da un’altra famiglia quando ancora era molto piccola. Per cercare di dare una giusta cronologia alla storia e per cercare di rimettere in ordine i pensieri, l’anziana donna sceglie 20 fotografie della sua vita e cerca di descrivere quello che mostrano, ma anche quello tutto ciò che nascondano.

Nel libro “Piccolo Principe” c’è una frase che dice: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Tutti i personaggi della storia avranno momenti felici e tragedie complete. A rileggere a posteriori queste vite si capisce come la felicità sia qualcosa di assolutamente fugace, effimero, impalpabile. Proprio come la “pioggia prima che cada”. Qualcosa che non si vede, che non si può descrivere e inevitabilmente destinato a trasformarsi in qualcos’altro. Ma anche i momenti tristi e i drammi hanno il loro senso e la loro funzione nell’economia dell’universo. Ma il libro (soprattutto il suo finale) ribadisce che non c’è nessun disegno misterioso, non c’è nessun Dio. Esiste solo un prima e un dopo, esistono solo eventi e avvenimenti che producono effetti che a loro volta serviranno a produrre altre cambiamenti nella vita dei diretti interessati e di chi gli stà intorno. All’infinito e anche contro la nostra volontà. Impossibile cercare di seppellire il passato. Tanto lui si aggrappa con i suoi artigli al presente.
Voto: 3 stelline e ½ (su cinque)


PS: questo libro mi ha fatto venire la voglia di aprire una nuova rubrica di questo blog che si chiamerà proprio “la pioggia prima che cada” . In questa rubrica cercherò delle foto significative del mio passato e cercherò di descrivervi quello che si vede, e tutto ciò che nascondono. Preparatevi

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lunedì, ottobre 8

Venerdì sera ho fatto una passeggiata con “sister_alec_lingualunga”. La mia amica è sensibile alle mode lanciate dai film in uscita nel week end. Nella sua giovane vita ha superato brillantemente (alcune più, altre meno) le fasi “the nel deserto”, “La morte ti fa bella”, “Pocahontas” e, meravigliosamente, anche “A spasso con Daisy”!
Fedele alla sua fobia in questa settimane ha deciso di diventare grassa come John Travolta in “HairSpray”. E quindi durante la nostra passeggiata sono stato costretto ad andare a prendere un gelato da Gianni in piazza Santo Stefano.
Ed è proprio in questa piazza che, dopo essermi rialzato da un gradino, mi è scappato fuori dalla tasca il mio cellulare. Si, ci risiamo! C’è gente che perde l’attimo fuggente, io mi limito ai cellulari. Con una media di 4 o 5 all’anno! Una volta il mio telefono è stato trovato da un maniaco che si è attaccato a tutti i numeri delle mie amiche donne e le ha molestate.
Prima dell’era dei cellulari i numeri si segnavano in rubriche cartacee, che ti duravano anni e alcune volte (per la pigrizia di dover trascriverne il contenuto) passate da madri a figlie!

Ecco, quindi non ho più i vostri numeri e riferimenti. Se leggete questo post mandatemi una mail o un sms con il vostro nome e numero di telefono. Grazzzzzzzzie!

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venerdì, ottobre 5


"Per ascoltare i miei dischi c'è bisogno di emozioni e profondità. Sono due caratteristiche che non appartengono ai maschi bianchi ed eterosessuali" Sono parole di Joni Mitchell, 64 anni a novembre, che è ritornata con un nuovo disco, “Shine”, dopo quasi dieci anni.
Spero che tutti voi abbiate avuto la possibilità nella vostra vita di entrare in contatto con la musica di quella che da molti viene definita la musicista più importante del 20 secolo. Certo è che se non ci fosse stata lei (e soprattutto il suo capolavoro “Blue”) tutte le cantautrici che io amo tanto non ci sarebbe state. Infatti cominciai a interessarmi della sua musica dopo che Tori Amos cantò delle cover di alcune sue canzoni (“A case of you”, “River” e “Both sides now”) e subito mi affascinò l’arte di questa donna che ha portato la sua vita in musica! E che vita! Piena di (adorabili) contraddizioni! Ha avuto la poliomielite da piccola però a 7 anni comincia a fumare e non metterà mai diventando una delle fumatrici più accanite della terra. Ha una figlia da giovane che da in adozione e che ha “ritrovato” qualche anno fa. E’ stata la donna di alcuni tra i più grandi musicisti (ad esempio James Taylor, Jackson Browne, Neil Young, Jaco Pastorius).

Aveva detto addio alla musica, continuando a fare la pittrice e uscendo aveva sbattuto la porta! Aveva accusato le major discografiche di essere delle latrine, che producono musica senza sostanza e interessate solo a culi e tette. Ed è per questo che alcuni ora la accusano di essere poco coerente. Forse hanno ragione ma a me questo disco è piaciuto da matti. Il suo stile qui è una continua citazione di se stessa. Se non la si ama nel profondo questo aspetto può penalizzare questa sua uscita. Ma se, al contrario, in passato la si è amata in ogni sua metamorfosi musicale (e ne ha avute tante) stavolta si rimane piacevolmente sorpresi per il perfetto equilibrio in cui tutte le Joni del passato riescono a convivere (finalmente) felicemente. Un disco perfettamente in equilibro tra melodie più pop, arrangiamenti folk, divagazioni jazz senza mai una caduta o una sbavatura. Canzoni delicate e dolcissime con testi profondi e ispirati. Cito da una recensione a me molto cara: “il suo mondo è questo, intimo, a volte sferzante nelle parole, crudo nei confronti del sesso maschile. Le canzoni ci permettono di viaggiare ma anche di riflettere, di aprire la mente verso la poesia e l’introspezione, di scoprire come in tempi di globalizzazione e di velocità c’è musica che scorre lentamente,
adagio fino al cuore. Senza dimenticare temi a lei sempre cari come la politica e il femminismo. Un disco intenso, da ascoltare guardando il mare e possibilmente sorseggiando un caffè. Scintillante come ogni gemma rara.” Chi ha scritto questa recensione è una persona che, prima di conoscere fisicamente, una sera al telefono parlò con me delle musica di Joni Mitchell e di quale fosse la rispettiva canzone preferita. E poi da cosa nasce cosa. Grazie, Joni!

Voto: 4 stelline (su cinque)

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martedì, ottobre 2

Ieri sera ho visto il remake di HAIRSPARY con John Travolta. Come saprete il film è ispirato sia all’omonima versione cinematografica del 1988 di John Waters, sia al musical che fu messo in scena negli anni ’90 e ispirato al film stesso. Come ho già scritto su questo blog io adoro il cinema di John Waters. Dalla prima volta che ho visto un suo film.
Avrò avuto circa 14 anni un sabato notte non riuscivo a dormire e ho acceso la TV. Su una rete locale veneta mandavano un suo film con DIVINE, non ricordo quale esattamente. Credo di non essermi mai più sentito in vita mia così contemporaneamente sia rapito dalle immagini ma anche turbato come se guardandole avessi fatto la cosa più "sporca" che avessi potuto fare! E infondo credo sia quello il suo obiettivo: metterci in contatto con la nostra parte buia, con gli aspetti di noi stessi che ci fanno paura, che ci imbarazzano e, tramite quest'esperienza, aiutarci ad accettarli/(ci)!
Nei suoi film c’è sempre l’attacco alla famiglia che viene realizzato sovvertendo quasi scientificamente valori cardine quali coesione, ordine e religione. Nelle sue contro-famiglie regna al contrario la disgregazione sistematica, la totale promiscuità anche sessuale nonché l’iconoclastia più assoluta. E musa indiscussa di questo cinema (ma forse bisogne parlare di filosofia, o quantomeno di poetica) è stata DIVINE, il travestito di 130 chili che è il vero simbolo del cinema di Waters. Ironia della sorte: Divine morì subito dopo aver girato proprio HairSpray per apnea durante il sonno. Immortalata per sempre dentro il sogno (sporco, anzi sporchissimo) che sicuramente stava facendo. Non sono l’unico a considerare Divine come un icona, e infatti cito la canzone omaggio "Divine" di Antony & The Johnsons: "Good-Bye, baby Baby, good-bye Divine, oh Divine Falling like a picture of time Oh he was the Mother of America He was my self-determined guru Myself, I hold your big fat heart in my hands And I hold your burning heart in my hands A supernova A flame on fire Shining in the darkness."

Ovviamente in questa nuova versione 2007, pur mantenendo quasi inalterata la trama, manca totalmente la follia, la perversione strisciante, il continuo ribaltamento dei ruoli della versione underground di Waters. Questo è un film per tutti, bambini compresi! Certo è piacevole, gradevole, ben girato e con una bella fotografia. Ma John Travolta non fa paura a nessuno, non scuote nessuna coscienza ma solo le chiappe (finte). Insomma negli anni ’80, in tempi non sospetti, Waters metteva in scena una vera alternativa sociale: Edna era visibilmente un uomo, travestito e sposato con un altro uomo, una finta-donnona sexy e sempre arrapata di 130 chili. A vedere quei film ti veniva veramente la speranza che ci fosse 1 altro mondo possibile, e anzi potesse essere proprio quello dei tuoi vicini di casa. In questo nuovo film del 2007, tutto è finto. La fisicità di Edna è finta, perché Hollywood ancora non accetta protagonisti over-size (ed è la vera contraddizione del film!). E’ finta la sessualità di Edna, visto che Travolta interpreta una donna. E’ finta la scenografia, tutta ricostruita. E tutto prende il sapore di una favola.

Invece devo dire che sono molto piacevoli gli stacchetti musicali, a partire dal primo dedicato al risveglio di Baltimora, la città dove il film è ambientato. Baltimora è una città del Maryland ed uno dei porti commerciali più importanti degli USA. E’ buffo che ben due tra le opere artistiche che più hanno segnato il mio immaginario (i film di Waters + i dischi di Tori Amos) siano di artisti nati proprio in quella città. Mi sa che prima o poi dovrò farci un giretto.

Voto: 3 stelline (su cinque)

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lunedì, ottobre 1

Questo è stato uno strano week end. La mia amica Chiara sabato mattina si è sposata. Chiara è entrata a far parte di quel gruppo di persone che ha deciso con chi passare il resto della vita. Chiara per me è una persona speciale. Se fossimo alle medie potrei parlare “della mia migliore amica” ma da anni abbiamo superato quell’età. E quindi Chiara è la mia amica. Certo l’articolo “la”, non ha lo stesso significato di dire “una” mia amica.
Io e Chiara siamo molto diversi, e forse sarà proprio per questo che quando siamo insieme non ci manca proprio niente. La nostra amicizia così sincera e completa ha provocato qualche invidia, ed è stata mal sopportata da qualche partner precedente. Ma adesso, per fortuna, entrambi i nostri compagni, pur sentendosi un po’ esclusi dal nostro rapporto simbiotico, lo alimentano e lo rispettano. Come ho già avuto modo di scrivere in questo blog, per me lei è una sorella.
Sabato scorso avevamo organizzato il suo addio al nubilato e proprio in quella serata mi ero accorto di quanto fosse bellissima, di quella bellezza particolare che hanno solo le promesse spose. E sabato a vederla camminare verso l’altare mi sono emozionato. Ma ancora di più quando ha lasciato l’altare per prendere i doni per l’offertorio, passandomi di fianco, mi ha visto e mi ha sorriso. Un sorriso bellissimo il suo. E devo ammettere che in quel momento ho provato un po’ di invidia. Al mondo esistono uomini e donne che possono sposare la persona che amano, con tutto ciò che questo implica per la loro vita e il suo valore. Ed esistono uomini e donne che non possono farlo, perché la legge glielo impedisce solo in virtù della persona che hanno scelto. Ho veramente capito in quel momento il senso della discriminazione che vivo sulla mia pelle. Se io non fossi gay probabilmente avrei sposato Chiara. In questo caso avrei potuto godere di tutto il repertorio emotivo e sociale che la tradizione e le convenzioni offrono. Visto che amo Marco, no. Per un attimo mi ero intristito. Ma poi la cerimonia è continuata. Visto che c’erano molti invitati stranieri la cerimonia è stata celebrata sia italiano che in inglese, e un po’ sembrava tipo “giochi senza frontiere”.

Dopo i festeggiamenti per questa “nuova famiglia”, io e il mio fidanzato siamo tornati a casa di mia mamma, dalla mia vecchia famiglia, che ci ha ospitati per il week end. Sabato sera mia madre aveva a cena i suoi cugini e domenica a pranzo mia sorella. Lei ha insistito perché rimanessimo a mangiare, era veramente felice di averci alla sua tavola. Io avevo proposto a Marco di uscire, immaginando che rimanere a casa potesse essere “pesante”. E invece anche lui ha insistito per cenare/pranzare insieme.
Io ero un pò imbarazzato. Insomma avere Marco a pranzo con la mia famiglia, era abbastanza aliena come situazione. E’ come se io avessi 1 amico immaginario e di colpo lo vedessero anche gli altri (quando in realtà lo volevo solo per me!). Era come se io fossi a tavola e al mio fianco ci fossero tutto quell’immaginario omo-erotico che da piccolo tanto mi affascinava ma anche mi creava forti sensi di colpa: i modelli in mutande di Postal Market o il signor French del telefilm “3 nipoti e un maggiordomo”, etc etc
Però ho capito che ne è passato di tempo sia da quei turbamenti solitari, ma anche dal 1 maggio 1996 data del mio coming out in famiglia. Ed è proprio vero che 1 elemento importante nella risoluzione delle crisi e esistenziali a livello familiare è il fattore tempo.
Sicuramente anche Marco ha contribuito a creare questo clima. Intanto è stato lui ad imporre la sua presenza. Io probabilmente avrei cenato fuori e avrei ridotto la mia presenza in casa ad un caffè veloce. Ma come dice la canzone dei Tiromancino avevo bisogno di lui per superare “quegli ostacoli che la vita non ci insegna”.E forse ho capito che la rabbia e la disapprovazione di mia madre quando ha saputo che ero gay forse era veramente ansia e paura per le difficoltà, i rischi e i disagi che l’omosessualità poteva, nella sua testa, inevitabilmente portare nella mia vita. Forse veramente in cuor suo aveva sempre saputo e quando io l’ho detto la sua rabbia è derivata dal fatto che non ha potuto dirmi che aveva una paura fottuta che io soffrissi, che potessi essere umiliato, che la mia vita potesse essere più difficile di quella dei miei fratelli, che avrei avuto più ostacoli. Probabilmente sapeva che lei non avrebbe avuto né la forza né il coraggio di affrontare una società giudicante e ostile. E adesso a distanza di dieci anni da quella giornata lei sa che io non le ho mai chiesto né di difendermi, né tanto meno di doversi giustificare. Mi sono allontanato (anche fisicamente) alleggerendole non di poco il compito di “gestire” il mio essere gay e mi sono arrangiato nel difficile tentativo di trovare il mio posto nel mondo. E adesso che da solo, l’ho trovato credo lei abbia anche voglia di farne parte. Io devo solo trovare il modo di unire questi due mondi che nella mia testa sono ancora lontanissimi, separati, distanti. Il mio stare con Marco, i miei amici gay, la mia gay life sono tutti aspetti della mia vita che sento solo miei. Perché me la sono costruita da solo questa vita. Perché nessuno mi ha aiutato. Per molto tempo non hanno neanche chiesto niente. E adesso mi fa fatica condividerla con loro, ne sono geloso come lo sono i bambini dei propri giocattoli. Credo che questo sarà il mio prossimo compito. Prestare i giocattoli!

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