Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

giovedì, novembre 30


Martedì sera sono andato a sentire il concerto di JOAN AS POLICE WOMAN all’Estragon a Bologna. Su queste pagine ho già scritto che, secondo me, il suo è uno dei dieci dischi dell’anno. Era da mesi che io e il mio amico/sister alec (qui la sua recensione) aspettavamo con ansia di vedere l’esibizione live di quella che si candida a nuova icona della musica.
Facciamo come i bambini: volete sentire prima le cose belle o prima quelle brutte? Le cose brutte sono solo tre:
1) il pubblico assente. Ma parco cane! Siamo a Bologna, capitale italiana della musica indie/alternativa (almeno così si dice…). Il suo disco ha avuto critiche positive su tutti i blog del pianeta, ma addirittura TV SORRISI E CANZONI si è sentito in dovere di parlarne (giuro! Mia mamma è abbonata) scrivendo più o meno che il disco non sarebbe mai entrato nella loro classifica ma che ne erano stati ammaliati. Il tour è stato pubblicizzato con fuochi d’artificio e affissione in città. Mi spiego?, Ebbene nonostante questo solo 150 persone sono venute a sentirla. Vergogna, vergogna, vergogna!!!
2) L’impianto luci dell’Estragon è irritante. Il palco praticamente buio che a tratti sembrava di intravedere Tiziano Ferro, travestito da Raffella Carrà che si masturbava e invece poi ti accorgevi che era solo l’asta del microfono e la sua ombra. In compenso i fari più potenti erano puntati nelle cornee dei pochi presenti. Inutile spostarsi, loro ti seguivano!
3) L’unica cosa che mi ha deluso è che miss JOAN WASSER non abbia suonato il violino. Insomma lei che è stata la violinista di fiducia di Antony, Rufus e Jeff che manco ce lo mostra, manco un’accordino. Vabbè…

Ma detto questo c’è il rovescio della medaglia. Si perché la ragazza si è guadagnata una medaglia in oro zecchino e la legion d’onore. Per vedere le cose da una altra angolazione posso dire che nonostante il pubblico fosse scarsino però era decisamente caldo. Salutata calorosamente al suo arrivo, accompagnata da 200 mani che battevano il tempo ad ogni sua richiesta, canzoni cantate a memoria con un labiale da drag queen e, addirittura, una standing ovation finale hanno emozionato e inorgoglito Joan. E’ vero non ha suonato il violino. Ma non si è risparmiata con la tastiera e la chitarra. I primi pezzi del concerto la vedono da sola sul palco, senza band, lei e la sua tastiera. Ma nonostante lei suonasse lo strumento sembrava un’esecuzione “a cappella”, come se la sua voce e la tastiera fossero una cosa unica, come se lei incarnasse veramente l’idea della musica. Elegante e misurata, affida l’inizio della performance a questi due pezzi acustici, con accordi semplici ma trionfali (è possibile?) e la sua musica è veramente uno stato di grazia, uno strano connubio tra jazz, soul, rock e pop di rara bellezza, ed eseguito alla perfezione con una voce potente e limpida, ancora più che sul disco. Ripenso alla frase che è apparsa sul suo sito myspace: "Beauty is the new punk rock”. Puoi urlare e gridare i tuoi sentimenti, ma non è il modo migliore di attirare l'attenzione. Quello su cui JOAN è concentrata ora è principalmente fare qualcosa di "bello" che possa arrivare al cuore della gente e che sia ben lontano dal gridare e urlare. Ma non è un esibizione moscia o sotto tono. La rabbia, la passione si sentono, Joan riesce a incanalarle e trasformarle in qualcosa di positivo e "bello".
Quando arriva la band il concerto raggiunge il suo massimo. Accompagnata da un batterista (bello, bravo e che ha pure ruttato) e da una bassista, con cui si avverte un grande affiatamento e complicità dopo tutte le date di questo loro inesauribile tour. Si avverte il piacere di suonare assieme: trasparente nelle battute e negli spunti che si scambiano di continuo. Entrambi i suoi musicisti sono impegnati anche ai controcori e ci regalano una strana ma piacevole versione di “I Defy” in cui sostituiscono la voce di Antony con grazia e, fortunatamente, senza volerla imitare.
Ogni volta che JOAN si alza dalle tastiere e inforca la sua chitarra la trova scordata. Allora chiede al pubblico di dirle come si dice in italiano “tuning”, e cioè accordare. E’ così tenera mentre lavora le corde e intanto ripete: “acordare” “acordare” (ovviamente con una c)
Un concerto in definitiva splendido, coinvolgente, la celebrazione di una donna complessa e un'artista genuina, che rivendica il diritto e il dovere di cantare la propria intimità, di aprirsi attraverso la musica. Nel corso dello show ha anche eseguito molte b-sides, tra cui la mia preferita “My Gurl”. Ci ha regalato anche un paio di canzoni nuove, tra cui un pezzo più impegnato dedicato alla politica del governo americano che mi è sembrata la più interessante per le armonie vocali e il jam. I bis, richiesti a gran voce, si aprono con la cover di “Sweet thing” di David Bowie. Me l’aveva fatto sentire per la prima volta il mio fidanzato e, sarà che era anche il nostro mesinversario, mi è venuta la pelle d’oca mentre canticchiavo (e gli dedicavo intimamente) le strofe:
Ragazzi, ragazzi, è una cosa dolce, una cosa dolce.
Se volete ‘sta roba, ragazzi, pigliatela qui,
Perché sperare, ragazzi, non costa niente, non costa niente.
Sono felice che tu sia più grande di me:
Mi fa sentire importante e libero.
Questo ti fa ridere? Non è da me?
Sono sulla tua strada e ruberò ogni istante.
Se lui vende porcate, allora benedirò te

lunedì, novembre 27


Sabato ho visto, finalmente, “Maria Antonietta” di Sofia Coppola.
Mi stà lacerando un dubbio. Questo è l’ultimo capitolo della trilogia che la regista vuole dedicare al passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta. Però: le vergini suicide, per definizione, muoiono. Maria Antonietta ha…come dire?... perso la testa! Quindi mi chiedo che fine abbia fatto Charlotte di “Lost in Translation”. Che la sua morte sia paradossalmente restare in vita, invischiata nel matrimonio sbagliato?
Ma veniamo al nuovo film. La storia della regina ghigliottinata la sappiamo tutti. Con la rivoluzione e la morte di Maria Antonietta ha inizio la modernità. Infondo, con un po’ di revisionismo, quello può essere inteso come il primo vero e proprio televoto popolare. Questo secondo me è lo spirito del film. Tracciare parallelismi tra quella società e la nostra attuale società. E allora Maria Antonietta prende carrozze che sembrano taxi, guarda ritratti come fossero mms, si fa aiutare da sarti che sembrano i nostri attuali commessi (gay) del negozio del centro, fa le cinque del mattina uscendo dalla festa e va a vedere l’alba un po’ come noi si va a mangiare la piadina dopo la discoteca.
Ma se questi due mondi sono così vicini e uguali cosa ci vuole dire Sofia Coppola?
Credo che chiunque guardando il film abbia un occhio benevolo nei confronti di questa ragazzina fondamentalmente buona che, come tutti alla sua età, si fa trascinare dal lato effimero della vita. E’ impossibile non riconoscersi nel suo stile di vita, nelle sua reazioni più che sponatanee, nella sua più che attuale modernità. Quindi noi siamo Maria Antonietta. Paradossalmente questo film non ti porta a parteggiare per i contadini che chiedono pane.Sarebbe più logico: infondo è grazie alla loro lotta che è nato il nostro mondo moderno. Ma forse la nostra società attuale (quella del 2006 intendo…) è composta solo da Maria Antoniette. La rivoluzione francese invece di annullare un certo malcostume, l’ha moltiplicato all’infinito. Allora ritorniamo all’esempio del televoto di prima. E’ proprio come nei reality: se il televoto negativo dovrebbe semplicemente togliere di mezzo un giocatore dalla trasmissione, alla fine moltiplica la sua presenza su tutti gli altri programmi del palinsesto. Quindi, ragionando per estremi, questo film ci dice che la rivoluzione francese non ha eliminato un certo malcostume, ma lo ha elevato a status aperto a tutti. Siamo tutti egoisti, siamo tutti viziati, siamo tutti incuranti dell’altro e privi di empatia. La fantastica colonna sonora e i costumi meravigliosi non fanno altro che dirci che noi siamo quel tipo di società. Nel buio del cinema non ti sembra di guardare dal buco della serratura un mondo lontano, ma ti sembra di essere la, degno invitato e ti verrebbe voglia di allungare una mano per addentare un pasticcino. E siamo tutti così. Tanto è vero che Sofia Coppola decide di non inserire nemmeno un rappresentante del popolo nella sua sceneggiatura. Che senso avrebbe? La nostra società si dimentica tutti i giorni che i poveri esistono, intenta a celebre assurdi riti di shopping e di edonismo. No?
E poi se pensiamo a quali sono le nostri nuove regine non sono esattamente delle incarnazioni di Maria Antonietta? Paris Hilton non è altrettanto capricciosa e insensibile. Ma invece di fare la rivoluzione, li esaltiamo a icone.
Questo ovviamente è il pensiero che fai nei giorni successivi. Mentre guardi il film non si può non rimanere affascinati da questa principessina per caso che si aggrappa al nulla più in fretta che può per far fronte da una vita che la travolge. Certo è un film con pochi dialoghi. La maggior parte delle parole che si sentono sono voci fuori campo che incarnano le male lingue, i giudizi di radio serva, le supposizioni e le aspettative che la società carica sulle spalle di ognuno di noi, Tutte le voce fuori campo servono per definire la Maria Antonietta pubblica, l’immagine che le è stata costruita attorno, il simbolo che si è trovata ad interpretare. E non succede anche a noi? Non basta a volte essere assunti in un azienda , avere un biglietto da visita che sotto il proprio nome riporta una carica qualsiasi perché gli altri si sentano autorizzati ad aspettarsi qualcosa da te, perché si sentano autorizzati a preventivare delle riflessioni sul tuo conto? A volte questo “sentito comune” ti definisce più della tua stessa natura, di quello che sei veramente. Memorabile la scena del film in cui Maria Antonietta smentisce la tesi secondo cui avrebbe detto “Se non hanno pane da mangiare, mangiassero le brioche”. E’ la frase più famosa che le è mai stata attribuita, e probabilmente quella che dovrebbe aver infuocato la rabbia con cui è stata uccisa. E li si apre il primo grande interrogativo. Si insinua il dubbio di quale sia la verità? Cosa sia autentico e cosa invece sia stato strumentalizzato nella storia di questa regina? La cosa viene sottolineata dalla fantastica scena in cui delle uova appena deposte vengono pulite da ogni detrito organico, prima che passi la principessa a raccoglierle dal nido. Una scena veloce ma bellissima, che giustifica una vita intera e assolve le responsabilità di una donna che “non poteva” vedere la realtà.

Voto: 3 stelline (su cinque)

PS. Avrei visto anche “Fascisti su Marte” ieri sera ma mi sono addormentato. Quindi diciamo che la valutazione è “non pervenuta” come le temperature delle previsioni del tempo

venerdì, novembre 24


In questi giorni ho letto il libro “Una voce nella notte” di Armistead Maupin. Me lo ha regalato Marco…ovviamente!
Non conoscevo né il libro né l’autore, ma la scoperta è stata devastante. Adesso dovrò cercare tuttomapropriotutto quello che ha scritto. Pensate che uno dei miei scrittori preferiti, Christopher Isherwood, ha detto che la bravura narrativa di Maupin è pari a quella di Dickens.

La trama in breve è questa:
Gabriel Noone è un romanziere di successo che conduce da anni un programma radiofonico notturno. E' in un momento di crisi creativa. L’uomo con cui viveva da anni e di cui è ancora innamorato lo abbandona perché insoddisfatto della loro vita sessuale. Un amico editore gli manda il memoriale di un tredicenne, Pete Lomax, che racconta le violenze sessuali subite in famiglia e da altri pedofili e la sua condizione di malato di Aids. Gabriel comincia a trascorrere ore al telefono con il ragazzo, fino a considerarlo una sorta di figlio. Ma quando Gabriel deciderà di andare a conoscere il giovane, la sua vita ordinata e le sue certezze verranno messe completamente in gioco, fino a dubitare dell'esistenza stessa di Pete. Tanti indizi e il freddo cinismo di chi stà intorno a Gabriel non fanno altro che confermare che forse si tratta di un grosso equivoco, se non proprio di una truffa.

E’ un gran romanzo che affronta veramente tanti temi diversi. Al di la dell’aspetto giallo della storia, personalmente questo libro mi ha molto colpito la delicatezza con cui l’autore affronta il fatto che la nostra vita sentimentale è anche collegata alle remote vicende personali che hanno caratterizzato le esperienze infantili. I nostri affetti sono il mezzo principale di trasmissione del mito familiare che nel bene o nel male ci ha “regalato” la nostra famiglia di origine. E noi stessi diventiamo un anello di questa catena, introiettando i valori, le regole e i ruoli che i genitori ci hanno trasmesso, e poi rimandarle alle generazioni future incarnando il nostro personale modello di famiglia.
Insomma Maupin, tra le righe di questo romanzo si e ci fa una domanda: cos’è una famiglia? In questo romanzo ce ne sono tante e diverse. La famiglia d’origine del protagonista, classica famiglia patriarcale (ma solo di facciata) americana, tanto bistrattata negli anni ’70 ma che alla fine del romanzo viene riscattata e le vengono perdonate responsabilità ed errori. La nuova famiglia del protagonista formata da due uomini (e un cane). La famiglia del piccolo Pete Lomax dove i genitori naturali lo vendevano ai pedofili. La nuova famiglia di Pete: formata da un solo genitore, la nuova mamma adottiva. E poi c’è la famiglia che uno si sceglie: come fa Pete che sceglie Gabriel come papà che sperò farà vacillare i pregiudizi sulla paternità gay e sulla genuinità di ogni suo affetto. Insomma il libro ribadisce che la famiglia è un’entità in trasformazione ed è veramente in cattiva fede chi si ostina a riconoscere un solo modello come riferimento.

Voto: 5 stelline (su cinque)

giovedì, novembre 23

E' consuetudine tra gli innamorati darsi dei nomignoli nei momenti di intimità. Ai più scontati "amore" o "tesoro", capita a volte di sentirne anche di più simpatici e originali. Marco nei miei confronti usa spesso due nomignoli: “mostro” e “pistolino”. Questo a dimostrazione che in amore ciò che è brutto diventa bello, e che delle pistole calibro 22 diventano pistolette ad acqua! Gli piace il paradosso! :-)
Ma in realtà quando siamo in intimità oppure quando stiamo affrontando questioni più profonde e sincere usiamo un nomignolo più istituzionale, e cioè: fidanzato! Si, ci chiamiamo “fidanzato” a vicenda. Un po’ come fanno i deputati e i senatori. Oggi pensavo che di solito questi vezzeggiativi hanno una scadenza, nascono e muoiono con la coppia e guai a riciclarli nella prossima relazione.Sarebbe un peccato ben più grave del tradimento.Se così fosse non potrei mai più chiamare “fidanzato” nessun altro fidanzato. Quindi devo tenermelo stretto stretto.

PS. Giuro che nei prossimo giorni parlerò anche di altro che non sia MARCO!

mercoledì, novembre 22

Questo sarà un post confuso e poco lineare. Ma d’altra parte come faccio a raccontarvi del nostro primo week end fuori porta, senza essere un fiume in piana di emozioni e traboccante di gioia?
Arrivo a Napoli la sera di venerdì dopo 5 ore di viaggio in treno. A giudicare dalla cagnara: la mia carrozza era stata affittata per una riunione di condominio. Ma non di un condominio dove si va d’amore e d’accordo, ma diciamo il condominio dove abita Marilyn Manson (cha fa casino tutte le sere) e Lori Del Santo (che ha fatto costruire abusivamente una tripla terrazza con piscina). Provate a immaginare com’era vispa la discussione.
Marco stava lavorando in un locale e, visto l’ora tarda e il forte bisogno di una doccia, decido di aspettarlo in albergo. Sono così orgoglioso di essere il fidanzato di Marco che già al taxista chiedo se mi consiglia o meno di baciarlo in pubblico. Anche quando arrivo in albergo e chiedo la camera prenotata con il suo nome, mi viene voglia di fare lo spavaldo e mi assicuro che ci sia il letto matrimoniale. Sarebbe bastato entrare in camera e guardare. Ma volevo che il recepionist capisse che io sono il fidanzato di Marco. Senza possibili altre versioni. Quando Marco è arrivato ha bussato alla porta e io prima di aprire ho detto ad alta voce: “Cielo! Mio Marito!” e quando ho aperto la porta gli ho detto: “Non devi guardare nell’armadio. Vero?”. Non so spiegarvi la gioia di vederlo arrivare “a casa”. Che dire? Siano maledetti tutti i momenti che passeremo lontani. Potrei andare avanti per ore a parlare di quanto fossi felice di essere li con lui in quel momento, ma finirei per fare del pornoromanticismo, cioè mostrare senza vergogna quello che non si deve mostrare!
Il giorno dopo abbiamo girato un po’ per la città senza una metà precisa, facendoci tentare da scorci, viuzze e vicoletti ma senza seguire un itinerario. Lui mi ha mostrato l’interno di un palazzo meraviglioso, io il Cristo Velato a San Severo. Però alla fine eravamo noi due le bellezze da scoprire e buona parte del pomeriggio l’abbiamo passata a letto, tra l’altro anche(e dico anche…) a guardare Piero Angela e a sfidarci con le domande dell’Eredità di Amadeus.

La sera Marco lavorava in una festa privata di un industriale napoletano. Il posto era meraviglioso, all’interno di una cava naturale a Posillipo. La festa era solo per vip e arricchiti che non facevano altro che chiedere al mio fidanzato di suonare della musica “più banale” (e cito testualmente). La richiesta, per darvi il polso della situazione, è arrivata dopo che aveva suonato (cazzo , parlo come lui!) Scissor Sisters, Robbie Williams, e Beyoncè. Insomma un parterre di cinquantenni ricchi sfondati, aspiranti veline e industrialotti legati all’andrangheta. Poi si sono tranquillizzati grazie al free-bar, alle droghe assunte e all’impegno di far tintinnare i braccialetti per far capire che non erano di bigiotteria. In mezzo a quel delirio di opulenza ostentata e al disinvolto consumo di stupefacenti, il mio moroso mi mandava al bar a ordinargli un succo di frutta (possibilmente biologico) o un bicchiere d’acqua (possibilmente naturale). Ma si può? Non dico di fare un barbatrucco per mimetizzarsi come avrebbero fatto i barbapapà, ma neanche voler essere vistosi come Luxuria che va a confessarsi a San Pietro!
Però durante la serata c’è stato il riconoscimento che avevo cercato il giorno prima con il taxista e il recepionist dell’albergo. Quando si sono lamentati con Marco, lui visibilmente incazzato voleva andarsene. L’organizzatore della serata è venuto da me e mi ha detto. “dai parlaci tu.. tranquillizzalo!”. Ecco mi sono sentito l’alter ego di Marco. L’altra sua metà. Se una metà è arrabbiata, l’altra metà deve essere calma. Credo che paradossalmente ci siamo sentiti molto vicini e insieme in quella consolle, anche se lui mi dava le spalle e io facevo finta di essere interessato solo alle mie sambuche. Alla fine della serata Marco, sotto il cielo stellato di Posillipo, mi ha detto che non mi aveva mai visto così bello. Non mi riconosco più. Una volta frasi del genere mi avrebbero fatto scappare a gambe levate. Quando qualcuno dimostrava di trovarmi interessante, automaticamente io mi sentivo a disagio. Io che credevo di essere destinato a rivivere ripetutamente gli stessi sbagli d'amore, seguendo lo stesso copione con persone diverse, in luoghi diversi, come se il destino dei miei rapporti, dal corteggiamento alla loro conclusione, fosse stato scritto alla nascita? Con Marco non mi viene di comportarmi come si sarebbe comportato il vecchio Matteo. Mi sembra di poter ri-scrivere il mio destino.

Il viaggio di ritorno in treno è un altro ricordo meraviglioso di questo viaggio. Il fatto che avessimo 5 giornali diversi ma alla fine leggessimo entrambi la stessa pagina contemporaneamente. Il fatto che la conversazione abbia affrontato anche cose serie e importanti come se fossimo da soli sul divano di casa. Mangiare gli snack dallo stesso sacchetto imboccandoci. E meno male che mi ero ripromesso di non fare pornoromanticismo! Basta, fermiamoci qua!

venerdì, novembre 17


Sono strani i dj. Anche il mio fidanzato appartiene in pieno alla categoria, ergo è strano. Bisogna un po’ prenderci la mano e acquisire la capacità di tradurre il loro linguaggio. Tipo l’altro giorno gli parlavo di una canzone che per me rappresenta un punto fermo della mia personale discografia. Mi risponde che ha il disco a casa, e che la sera stessa se la sarebbe suonata. Non ha detto (come tutti i non-dj del mondo) me la ascolto. Ma ha detto la suono. Quindi è lui che con il suo magico potere (assolutamente segreto come tutti i super poteri dei supereroi) farà partire la musica. Senza di lui quel supporto magnetico sarebbe solo un modo per accecare gli autovelox, ed è rotondo solo perché tanti tanti tanti anni fa un homo sapiens annoiato ha disegnato la ruota (che poi si è tramandata di padre in figlio… un po’ come la spiritosa bugia che le donne hanno un punto g). Invece lui (il super dj intendo) riesce a far uscire della melodia, della musica. Non è iù soggetto passivo che ascolta, ma diventa soggetto attivo che suona. A quel punto il disco è suo. La musica è sua. E il dj set è suo! Insomma i dj hanno un senso tribale della proprietà. E’ mio! Punto. Sono un po’ come l’Euroclub che ti vende i libri degli altri con la copertina diversa. Ma alla fine i libri diventano veramente loro. Infatti se non paghi si incazzano (ma questa è un'altra storia di vita vissuta….).

E poi i dj sono in differita rispetto all’umanità tutta. Tu sei li che balli. La musica ti arriva alle orecchie. I tuoi neuroni cercano di coordinare lo sculettamento e il movimento della braccia (in questi casi rimpiangi di non essere nato verme, visto che 2 braccia ti sembrano decisamente di troppo). Ma lui nelle sua cuffiette cromate sente già il pezzo successivo. Ti guarda e non appena vede che tu stai facendo delle mosse che potrebbero risultare vagamente in linea con il pezzo, ti guarda sprezzante e ti cambia subito traccia, passando ovviamente a qualcosa di decisamente più ritmato o più lento. E tu rimani la con la stessa difficoltà di movimento che provi quando entri nel mare ghiacciato (diciamo l’oceano, per esempio) dopo che ti eri addormentato al sole per circa 3 ore. Però tu non sei Madonna e non è che puoi avvicinarti a lui, magari indossando un imbarazzante cappello da cow-boy (ma non c’era la selezione all’ingresso?), dargli il tuo cd masterizzato e dire “Hey Mister dj, put a record on….”

martedì, novembre 14

Stamattina sono stato svegliato da un sms del mio amico Fabio che diceva: “Non ho visto la mia soap preferita da diversi giorni…mi aggiorni a colazione?”. Nonostante la sua solita verve, ha centrato esattamente lo spirito di questo mio nuovo risveglio. Marco mi ha chiesto di definirci fidanzati. Certo non cambia nulla, se non che anche adesso che lo so “solo” scrivendo mi viene la pelle d’oca alle braccia e mi si inumidisce di sudore la fronte.
Io lo sapevo che lui era il mio fidanzato, l’ho saputo subito. Anche se domani dovesse scappare con il postino, io mi conosco e so che un trasporto del genere non mi capiterà per molto molto tempo. Lui resterà il mio fidanzato. Ma adesso lo siamo agli occhi di tutti. Adesso nello sport nazionale per eccellenza di dire “chi stà con chi” : il suo nome stà a fianco al mio. Senza ma e senza se. E’ cose primordiale e totalizzante provare certi sentimenti per qualcuno. Tutto il resto, anche quello che prima poteva essere la tua stessa ragione di vita, adesso è declassato alla funzione di “accessorio”. Anche i pastori, come i marinai e come i commessi viaggiatori, sanno che c'e' sempre una citta' dove esiste qualcuno capace di far loro dimenticare la gioia di vagare liberamente per il mondo.
Anche questo week end è stato bellissimo. Avevo così tanta voglia di stare con lui. Ma non è stato solo l’attrazione a essere mantenuta come da aspettative. Ma le affinità, le piccole cose, gli stessi interessi a rendere quest’uomo così unico, ed è stato per merito loro che le settimane passate non si sono rilevate un fuoco di paglia. Con questa sensazione di piena soddisfazione e condivisione, nasce spontanea la voglia di costruire e alimentare il rapporto. Certo dobbiamo conoscerci bene altrimenti si finisce per irrigare un prato con l'acqua che servirebbe per un vaso o il contrario. Però ho sentito al volontà di entrambi di volerci conoscere a fondo, senza nascondere niente e senza scappare. "L'amore ci chiede di essere un po' più coraggiosi, un po' più generosi e un po' più flessibili di quanto ci farebbe comodo essere. Amare significa vivere sul filo del rasoio più di quanto ci piacerebbe fare". Il fatto di smussare gli angoli dei nostri caratteri, di aiutarci a vicenda, di sopportare e accettare eventuali difetti, la volontà di mostrarci senza filtri a tutt’oggi ci appare la base del rapporto, non meno importante dell’attrazione fisica o della parte ludica o divertente dei nostri week end.
E ‘ proprio la possibilità di realizzare il sogno di appartenerci totalmente, che ci rende così piacevole la nostra relazione.

Certo siamo diversi. Io sono insicuro su tutto, lui è più deciso. Io ho bisogno di chiedergli mille volte al giorno se è felice, se mi vuole bene, se va tutto bene. Scherzando ha detto che sono come i bagli pubblici dove bisogna firmare ogni volta che viene igenizzato. Si è vero: ho bisogno di saperlo, di esserne certo fino al midollo, di essere rassicurato.
Ma se penso a quanto mi è venuto naturale mettermi in gioco e lasciarmi andare mi sorprendo di me. Io che non mi lasciavo coinvolgere da nessuno o rincorrevo sempre e solo chi non mi voleva forse, anche per avere la sensazione di poter sempre scegliere, di non perdere nemmeno uno dei mille treni di passaggio. O quanto meno, mi creavo l'illusione di lasciare aperta qualche porta. Adesso il mio treno è partito, prossima destinazione Napoli per il nostro primo week end fuori porta. E già vorrei attaccare all’ultimo vagone tante lattine vuote di Coca light che tintinnando sulle rotaie dicano a tutto il mondo che il treno dell’amore di Marco e Matteo è partito. Il tram numero sette per il paradiso, come canta JENS LEKMAN in cui racconta dei tram che si sono dovuti prendere (o perdere) fino ad arrivare al momento giusto per il tram n° 7 to heaven.

I'm walking, I'm walking in your tracks
Millions have turned backs
Fifteen heart attacks, later
Tram number one is full of fun
Tram number two is couchie coo
Tram number three has misery
Tram number four knocks at your door
Tram number five, I'm still alive
Tram number six, I think I'm fixed
Tram number seven
Tram number seven to heaven

martedì, novembre 7

Non ci manca niente. Stò vivendo il perfetto stereotipo dell’infatuazione romantica, che potrebbe risultare melensa anche agli occhi di Licia Colò. Penso a Marco in ogni dove, in ogni come e in ogni quando. E se non ci penso io è lui stesso a insistere, a farsi largo, a cercare di guadagnare terreno nella mia vita. Anche solo facendo il “geloso” confrontando il numero di post che ho scritto per maglietta gialla, e l’unico a lui dedicato. Anche solo rispondendo alla velocità della luce al SMS del risveglio, come se lo stesse aspettando. Anche solo riempiendomi di cd da ascoltare, che quando avrò finito di farlo sarò già con il doppio mento, 4 taglie di più e in procinto di dentiera e a quel punto spero proprio di essere suo per sempre.
Ma andiamo con ordine, perché non voglio sentirmi rimproverare che i racconti dedicati a maglietta gialla erano più didascalici e i suoi meno dettagliati. Dopo quel primo week end, la cosa che più mi ha colto di sorpresa e che non era mai stata nel mio stile è stato lo slancio. Lo slancio è un sostantivo che viene spesso legato alla religione e la misticismo. Oppure lo si sente ogni anno per l’approvazione della finanziaria, che darà sicuramente slancio a questo o a quello. Insomma la parola slancio pare essere legata al mondo del mistero e del non spiegabile (e la finanziaria di quest’anno ne è la riprova). E infatti non so spiegare anch’io questo slancio che provo, questa sensazione di sicurezza e di totale trasporto. So che è la cosa giusta e so che devo andare fino in fondo, sperando che un fondo non ci sia… proprio con la vitalità e la risolutezza degli eserciti di spermatozooi che non stanno neanche a chiedersi se sono finiti in un preservativo o sono stati “sprecati” per un rapporto orale. Loro devono continuare. E io ho voglia di continuare, di slancio.

Subito dopo il nostro primo week end non ho nemmeno ipotizzato la possibilità di non raggiungerlo a Milano e stare insieme per il ponte del 1 Novembre. E’ la realtà poi a cementare le aspettative. Se ogni incontro sembra essere perfetto, perchè si deve smettere di sognare? Se l’ideale diventa reale, cosa ci resta da fare se non vivere come in un sogno? Per innamorarsi bisogna “perdere la testa”, diventare incoscienti (proprio come nei sogni) ed è questo che s’invidia ad innamorati e giovani. Il disincanto è il peggior nemico dell’incantatore Eros. Una notte di Halloween, da soli in casa a guardare il dvd di “Frankestain Junior” non è di per se perfetta e magica? Una domenica pomeriggio in cui si alternano incontri con amici miei (prima) e gli amici sui (dopo) non è altrettanto perfetta e magica? Tanto è il nostro parlarsi che ci intriga, che ci avvicina e ci fa attaccare.

“Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l'altro, e il mio linguaggio freme di desiderio. Il turbamento nasce da un duplice contatto: da una parte, tutta un'attività del discorso assume con discrezione, indirettamente, un significato unico, che è 'io ti desidero', e lo libera, lo alimenta, lo ramifica, lo fa esplodere; dall'altra, avvolgo l'altro nelle parole, lo blandisco, lo sfioro, alimento questo sfioramento, mi prodigo per far durare il commento al quale sottopongo la relazione" Ronald Barthes da “Frammenti di un discorso amoroso”.

Mi piace farlo sorridere. Il suo sorriso mi mette in pace con il mondo e soprattutto con me stesso. Sorride come quelli della pubblicità, mostrando un po’ i denti. Io no. Io, che mi sembra di essere stupido quando sorrido, lo faccio sempre a labbra serrate e alzando un angolo più dell’altro. Il suo sorriso è la dimensione giusta. Il sorriso diventa la conferma, il feedback che io ci sono e che gli piaccio. Il sorriso è veloce, se non viene alimentato passa e quindi è perfetto per la mia frenesia di dover sempre fare o dire qualcosa. Il suo sorriso è istintivo, quasi infantile, leggermente rumoroso ma senza diventare risata. Si lo so, la stò tirando per le lunghe: ma ogni caratteristica di quest’uomo dovrà essere studiata, catalogata, discussa. Preparatevi.

venerdì, novembre 3

Un mio amico ha un blog. Ma un blog bello, scritto bene, senza fastidiosi errori di battitura. Ironico, divertende e sagace. Insomma il contrario del mio. Scrive benissimo ma a volte gli mancano gli argomenti. Come ieri, che è stato costretto a (stra)parlare di me. Ecco il suo ritrattino. Alec garzie! E ci vediamo stasera per lo psicodramma al pratello.


Non mi somiglia. Non siamo cresciuti insieme. Non ha nulla a che fare con la mia famiglia. Non lo conosco da più di sei mesi. Questo, per chiunque altro dotato di normale perspicacia, lo renderebbe un conoscente; o appena un amico, uno di quelli che guardi ancora con una certa diffidenza.Eppure.Quando vai via di casa presto, e ti rendi conto che è passato il tempo in cui tu eri solo un figlio desideroso di cure e premure, il significato di famiglia cambia. Scopri che sei tu a dover rassicurare una madre, a coinvolgere nel tuo mondo bislacco un padre distante. Che i tuoi fratelli, quelli di sangue per davvero, hanno la loro vita e le loro urgenze. Così, nella tua casa alla fine del loro mondo, sei costretto a mordere l’affetto altrove, ed è lì che altri fratelli e sorelle si siederanno alla tua tavola.Ed è per questo che Matteo oggi è uno “di famiglia”. Pur non sapendo quali vergognosi pantaloni portasse al liceo, quanto imbarazzante sia stato il suo bulbo pilifero quando poteva ancora vantarne uno, e quante paure abbia scavalcato nei suoi anni di attese e desideri. Oggi di fonte a me c’è solo quello che mi riguarda…. Una sorella. My sister. Così, quando soffro per qualche stupida ragione, ho il suo sacco di parole e abbracci da slacciare.La mia sister ascolta tanta bella musica; mia sister ha la fissa di andare in palestra, e fa un lavoro strano, che per tagliare corto potrei dirvi che ha a che fare con la pubblicità… la mia sister ha gli occhi di ghiaccio e ha un accento veneto che gli correggerei a suon di sganassoni… ma tant’è!Mia sorella è proprio una forza, è bella e qualche volta fa la civetta (potrei dire scaldacazzi, ma so che si offende). Beve la sambuca illudendosi che la sua vita migliori, come tutte le alcoliste. Ma di anonimo lui non ha nulla… la mia sister è speciale.La mia sister c’è sempre… e quando lo chiamo mi dice che non lo disturbo...mai. So bene che mente, ma è troppo carino per dire il contrario.Adesso si è anche mezzo innamorato.. e io dico che sono contento per lui. Certo, per me che annego nella filologia del definire il mio rapporto con il “cagone”, non sarà facile quando a pranzo, uno di questi giorni, la mia sister mi mostrerà l’anulare e mi dirà: mi sono fidanzato! Io farò finta di commuovermi, quando in realtà piangerò per le mie umane disgrazie. E su quell’altare ci salirò anche io, al suo fianco per sorreggerlo nel momento del sì, quando sarà. Gli ho già spiegato che il color lavanda non mi pare indicato per agghindare noi damigelle. Ma considerando il piccolo dettaglio che la mia sister è pure un filo daltonica, penso che sono cazzi amarissimi… perché magari non sarò color lavanda… ma neppure un bell’arancione cangiante mi farebbe sentire a mio agio, ai piedi della croce. Sarebbe come gridare la mia dubbia moralità alle porte del regno dei cieli.Matteo,You are my sister And I love you May all of your dreams come true

giovedì, novembre 2

Si possono raccogliere le mele se hai seminato le pere? Possono nascere delle oche da delle uova di gallina? La risposta miei cari è: si. Questa ultima settimana ne è la dimostrazione. Devo ricredermi su un sacco di cose, soprattutto su quella frase che avevo sempre trovato stupida e irritante “l’amore arriva quando non lo cerchi”. Non è che proprio non lo cercassi (e i lettori questo blog lo sanno bene), ma mi ero ormai concentrato sulla persona sbagliata, cercavo affannosamente nel posto sbagliato! Insomma mi sono fatto distrarre completamente da una maglietta gialla e da un paio di occhi chiari. Insomma non cercavo l’amore ma la rivincita. E forse questo è stato il momento giusto. Quando non hai quello che vuoi sei più predisposto a valutarlo con oggettività e a riconoscerne il vero valore. Tipo quando hai la gamba ingessata (per non parlare di sfighe più grosse), e ripensi con estremo piacere alle passeggiate… le stesse che prima ti sembravano cose insignificanti, che adesso pagheresti per poter fare.

Mentre rincorrevo chi non mi vuole, capita che chi mi vuole mi rincorra. Prima in chat, poi via sms poi insistendo per creare il presupposto per incontraci, quasi sentisse che stavo andando nella direzione sbagliata, prima che sparissi all’orizzonte. La fatalità ci fa incontrare davanti al negozio ELEGANCE di Bologna, famoso per avere le vetrine piene di calzature ValleVerde (cha da subito un nonsochè di rassicurante alla storia, “si è proprio bello camminare in una valle verde!” e già nell’aria è come suonasse “love is in the air” ). Da quell’incontro ogni successiva occasione non può andare che in una scontata e prevedibile direzione: dalla simpatia iniziale, allo star bene insieme, al piacersi. E’ un sabato sera di Ottobre. Ma è come fosse la vigilia di Natale. Si cucinano i tortellini (quelli buoni, fatti a mano dalla sfoglina bolognese, piccoli piccoli come ombelichi che per chiuderli avrà usato i mignoli), si mette il servizio buono, si accende la candela. Si crea proprio quella particolare e unica atmosfera di quelle vigilie di Natale, in cui anche i papà più burberi si sentono in dovere (solo in quella occasione) di dire “ti voglio bene” ai figli e aspettare mezzanotte per dargli il regalo. E abbiamo aspettato per il nostro regalo. Addirittura dopo cena abbiamo fatto una passeggiata in centro, nonostante nessuno dei due ne avesse voglia. Ma c’era una liturgia da rispettare, come si si volesse fare le cose come devono essere fatte. Tutto è al proprio posto, sussurrato, pulito, discreto, puntuale. Ma è il gioco di specchi che vogliamo alimentare. Questi continui botta e risposta, questo continuo ritrovarsi d’accordo su moltissime cose e stupiti di come l’altro ci rimandi una visione più a fuoco di noi stessi, il piacere di sentirsi contemporaneamente preda e cacciatore, a discapito di nessuno dei due ruoli. Lo sorprende che io conosca il suo disco preferito (“December” di George Winston ). Ma la musica sarà una delle cose ci avvicinerà da subito. C’è sempre quando siamo insieme, appena arriva io gli do la mia compilation e lui la sua. Compilation ispirate dall’idea che ci siamo fatti uno dell’altro durante questa conoscenza virtuale in questi settimane. Dopo aver fatto sesso (si perché l’abbiamo fatto ed è stato pure perfetto!) abbiamo passato un paio d’ore a farci sentire dei pezzi che per noi significavano qualcosa. La musica è importante per entrambi: lui ci lavora, a me ha salvato dalla balbuzie.

Rileggo ora quanto ho scritto in merito alla prima cena con "maglietta gialla" e mi sembrano secoli fa. Ripenso al vero scambio che c’è stato con Marco, la voglia di stare insieme e di conoscere tutto l'uno dell’altro. Mi veniva voglia di prendere appunti, come se non potessi dimenticare niente, come se dovessi preservare quello che diceva dai strani meccanismi della mia testa, che poi tende a rileggere tutto in chiave negativa. Ma stavolta è diverso: le paranoie non mi vengono, manco si fanno vedere in questi giorni…vi rendete conto? Abita lontano! Risposta: chi se ne frega, risolveremo in qualche modo. E’ più vecchio di me. Risposta: chi se ne frega, lo volevo così. Ci conosciamo dal vivo da sabato pomeriggio e oggi che è giovedì abbiamo già passato 4 giorni insieme. Giorni meravigliosi e perfetti. Ispirati. Domenica pomeriggio viene lui da me. Mi sembra di guardare un film. Un film che con curiosità e delicatezza racconta la casualità dell'incontro, le tristi paure di uno, la caparbietà consapevole dell’altro. Di entrambi viene fuori la forza e rispetta la vulnerabilità, fino all'ultima inquadratura, con un happy end appena sussurrato. La colonna sonora sarà a breve disponibile come compilation e mi sa che stavolta sarà un successo!