Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

venerdì, febbraio 29

Stasera alle 22:00 alle scuderie c’è il concerto di Julia Kent. Julia è nata a Vancouver, Canada, e ha studiato violoncello alla Indiana University di Bloomington. E’ membro stabile della band di Antony And The Johnsons, non solo come violoncellista ma anche come arrangiatore della sezione archi. Il suo lavoro d’esordio, “Delay”, è una composizione a più livelli di suoni di violoncello e di suoni d’ambiente. “Delay” trae ispirazione dagli aereoporti, dalla transitorietà, e dal mondo di emozioni interiori frutto del disorientamento e della perdita di abitudini causate dal viaggiare. Il titolo, “Delay”, significa sia attesa, sia ritardo, ed esprime infatti sia il viaggiare, sia il tempo occorso per la registrazione.
http://www.juliakent.com/ www.myspace.com/julia_kent

Questa concerto è presso “le Scuderie” di Bologna, che ho scoperto che il venerdì organizza questa serata gay. La serata è coperta quasi da un segreto carbonaro e si può essere informati della sua esistenza solo attraverso il passaparola, un po’ come capitava nei primi anni 80 con il perlana. Ben lontana da essere pubblicizzata su riviste e siti gay, dove ci sono solo locali (guarda caso) tutti affiliati ad arcigay e che spesso puntano solo su attrattive sessuali. Questa pare essere una situazione meno morbosa e solo per il fatto che ci sia Julia kent promette bene. Sarebbe bello se ci fosse un posto meno caro (perché il caro euro colpisce anche i gay), più tranquillo, con proposte di intrattenimento che non siano (con tutto il rispetto) sempre e solo drag queen. Insomma negli anni 50 e 60 i gay americani per riconoscersi tra di loro e darsi appuntamento alle feste a loro dedicate senza dare nell’occhio usavano l’espressione “amici di Dorothy”, riferendosi al personaggio interpretato da Judy Garland nel mago di Oz. Speriamo che da stasera le Scuderie possa diventare un punto di riferimento per “gli amici di Julia”. Vi saprò dire…

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lunedì, febbraio 25


Il libro “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano (Mondadori) è stato vendutissimo nella ultime settimane grazie al passa-parola dei lettori. Ieri sera durante la rubrica di libri a “Che tempo che fa” ne hanno parlato molto bene. La scorsa settimana l’ho divorato in due notti di lettura.

“Nella serie infinita dei numeri naturali, esistono alcuni numeri speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno. Se ne stanno come tutti gli altri schiacciati tra due numeri, ma hanno qualcosa di strano, si distinguono dagli altri e conservano un alone di seducente mistero che ha catturato l’interesse di generazioni di matematici. Fra questi, esistono poi dei numeri ancora più particolari e affascinanti, gli studiosi li hanno definiti “primi gemelli”: sono due numeri primi separati da un unico numero. L’11 e il 13, il 17 e il 19, il 41 e il 43…Numeri solitari, destinati ad essere simili, a sfiorarsi ma a non confondersi mai. Man mano che si va avanti questi numeri compaiono sempre con minore frequenza, ma, gli studiosi assicurano, anche quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatterà in altri due gemelli, stretti l’uno all’altro nella loro solitudine.”

Ovviamente non si tratta di un trattatati di matematica, ma di un buon romanzo d’esordio. I numeri primi sono una metafora per presentarci i due protagonisti del libro: Alice e Mattia.
Entrambi hanno vissuto da piccoli dei traumi, raccontati in modo struggente e poetico nei primi due meravigliosi capitoli del libro. Questi traumi hanno lasciato dei segni visibili nei loro corpi e ferite nelle loro anime. Il trauma infantile sarà poi all’origine di numerose conseguenze in età adulta: di disturbi psicologici e psichiatrici, di anoressia, dell'affettività, della sessualità, alla devianza e all'auto- mutilazione.
I residui, i sedimenti di quelle esperienze traumatiche dei due protagonisti lavoreranno in cooperativa per ricreare sempre più spesso altri piccoli traumi ripetuti nella vita di tutti i giorni, rendendola un piccolo inferno privato. Ogni avvenimento che per gli altri può essere eccitante, ad esempio una festa o la propria laurea, per i due protagonisti diventa fonte di ansia prima e durante occasione per riconoscere nuovamente la propria diversità. Il libro ci racconterà la loro storia a partire da quei loro eventi traumatici, passando dal loro incontro durante l’adolescenza a scuola, fino al modo in cui decideranno di provare ad affrontare questa loro particolare soggettività.
I due protagonisti cercheranno di comunicare il loro disagio ad un potenziale destinatario esterno con le “loro” modalità: una rifiutando il cibo l’altro praticandosi tagli e ferite. Questi messaggi verranno pure intercettati rispettivamente dal marito di Alice e da una donna presentata da un amico per Mattia. Ma non riusciranno a decodificarne correttamente il contenuto e rispondere adeguatamente. E così verso la fine del libro si capisce che le cose potrebbero andare diversamente (l’ennesimo incidente che però non si verifica all’ultimo secondo), o addirittura non sono andate come avevamo creduto (la visione della sorella scomparsa di Mattia).
Ma invece sarà proprio la presa di coscienza di chi si è, compreso le parti più buie del nostro io più profondo, a dare un senso ai nostri protagonisti. Impareranno a superare il continuo rimpianto di non aver fatto azioni o detto cose che sentivamo di dover fare o dire ma non riuscivamo a portare a termine le nostre intenzioni. Sarà proprio la totale resa nei confronti della loro storia personale e della vita a riscattarli. Accettare con lucida oggettività la proprio diversità e farsela bastare. Smettere di credere di poter essere diversi da come si è, e di sperare che qualcuno possa colmare le nostre mancanze. Riconoscersi dei “vinti” nei confronti della vita. Ma avere anche la certezza che la brutalità del mondo 'sano' dei vincitori è infinitamente più terribile delle crudeltà del mondo dei vinti.

Ovviamente pure io ho avuto il mio bel evento traumatico da piccolo che mi ha bloccato l’uso della parola per quasi due anni e il successivo balbettare fino quasi ai 14 anni. Ma è adesso, da adulto, che i nodi vengono al pettine. Il problema arriva quando viene a mancarti la speranza che le cose cambino, di poter essere diverso. Insomma quando ti sembra che “ormai” le cose non cambieranno mai.
I protagonisti del libro lo accettano. Io continuo a dondolare tra il tentativo di accettare me stesso per quello che sono (e non mi piace) e la pulsione ad un ideale che ciclicamente mi attrae come il canto di una sirena.

E poi haimè c’è ad un certo punto si lascia travolgere. Ieri ho ricevuto un sms di un mio amico che mi comunicava di aver ingerito una confezione di lendormin con una bottiglia di gin. E poi c’è chi dice che bere faccia male: è stato proprio per il fatto che il mio amico sia astemio che ha vomitato il tutto dopo poco. Ora ripenso allo spavento e al senso di inadeguatezza che si prova in quei momenti. E non riesco a ripensare a lui e al libro che avevo letto. Al fatto che veramente a volte le ferite ricominciano a sanguinare dopo anni, al fatto che anche chi ti sta vicino non vede e non capisce, alla difficoltà di essere accettati per quel che si è.
Il mio amico l’ho sempre visto come la stabilità fatta a persona. E adesso provo un senso di sincera tenerezza quando penso al suo gesto, al preciso istante in cui ha valutato passato, presente e futuro e quest’ultimo gli deve essere sembrato un gigantesco muro nero.
Se non avessi letto il libro qualche giorno prima forse avrei bollato il gesto come un momento di debolezza. So che è una modalità di comunicazione: qualcosa voleva dirci. Voleva comunicarci un disagio che viene da lontano. Paradossalmente voleva affermare il suo desiderio di vivere una vita soddisfacente e gratificante. Forse voleva far riflettere tutti noi “la fuori” su come siamo stati superficiali o, peggio ancora, del tutto assenti.
E allora, come i numeri primi, ci ritroviamo circondati da tanti altri numeri simili a noi ma così infinitamente diversi.

Voto al libro: 4 stelline (su cinque)

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mercoledì, febbraio 20

Tra qualche giorno inizia Sanremo. Ho letto i titoli e ho fatto qualche ragionamento.

EUGENIO BENNATO "Grande sud" - Secondo me è sponsorizzato dalla regione Campania in evidente calo di popolarità.
LOREDANA BERTE’ "Musica e parole" - Nei duetti si esibirà con Spagna. Era dei tempi in cui il mago Houdini è morto in scena, che non si vedavano dei cadaveri su un palco!
SERGIO CAMMARIERE "L’amore non si spiega" - Bhè per me farà la sua solita esibizione di maniera, ma molto meglio di molto altro!
TOTO CUTUGNO "Un falco chiuso in gabbia" - Visto che i piccioni di Povia hanno vinto, ha pensato di cavalcare l'onda animalista. Mettendoci un pò di melodramma in più (la gabbia) che a Sanremo funziona sempre. Ma arriverà secondo per l'ennesima volta!
GIO’ DI TONNO & LOLA PONCE "Colpo di fulmine" - Visto i nomi di questi due sono curioso di sapere chi dirige l'orchestra! Il maestro Spluzzi?
FINLEY "Ricordi" - No, non ricordo! Chi sono i Finley?
FRANKIE HI NRG "Rivoluzione" - cantare di Rivoluzione al Festival di sanRemo è un pò come parlare di diritto di sciopero e aumento di stipendi in Confindustria!
MAX GAZZE’ "Il solito sesso" - Già il fatto che ci sia la parola sesso in un titolo di una canzone a Sanremo è storia! Certo per renderlo meno minaccioso hanno dovuto alleggerirlo con l'aggettivo "solito". Però secondo me eminens avrà presto qualcosa da ridire....
GIANLUCA GRIGNANI "Cammina nel sole" - era dai tempi di in cui Sandie Show cantò scalza al Festival, che i piedi di un cantante non erano così neri! Però dicono che camminare nel sole faccia bene ai calli!
L’AURA "Basta!" - La signorina gioca di furbizia. Quando dal pubblico grideranno "basta! basta!" sembrerà che stiano chiedendo il bis!
LITTLE TONY "Non finisce qui" - Visto la sua età e le pochissime probabilità che ci siano altri sanremo nella sua carriera, spero che il testo della canzone parli dell'aldilà.
PAOLO MENEGUZZI "Grande" - In relatà lui stupirà tutti e in diretta canterà GLANDE e non "grande". Una struggente storia d'amore che a volte ti lascia l'amaro in bocca (soparttutto se lui ha mangiato asparagi)!
MIETTA "Baciami adesso" - minchia negli anni 70 già c'era l'uomo DENIM che non deve chiedere mai! a distanza di 30 anni ancora la donna che deve implorare un bacio! Gli stereotipi sono duri a morire. Ma mi sa che la canzone non piacerà molto alle femministe!
AMEDEO MINGHI "Cammina cammina" - Già mi annoia la ripetizione nel titolo. Non oso pensare la canzone!
FABRIZIO MORO "Eppure mi hai cambiato la vita" - Il ragazzo è onesto. Canta dello stipendio che la casa discografica gli passa da quando l'anno scorso ha vinto tra i giovani!
ANNA TATANGELO "Il mio amico" - lo sappiamo ormai tutti: il suo amico è gay. Amico della tatangelo? Comincio ad essere d'accordo con la Binetti. Ma siamo veramente convinti che alcuni gay non debbano essere curati?!?
TIROMANCINO "Il rubacuori" - Se qualcuno tra i vecchietti in platea all'Ariston dovesse fare un infarto durante la canzone, lo accuseranno di satanismo!
TRICARICO "Vita tranquilla" - Lui promette veramente molto bene. E l'outsider su cui mi sento di puntare! E poi in duetto con il mago Forest!
MARIO VENUTI "A ferro e fuoco" - lui è un mio amico, quindi sono di parte e tifo per lui.
MICHELE ZARRILLO "L’ultimo film insieme" - Il mio ultimo film che ho visto con Marco è stato "300". E adesso mi cade la lacrimuccia. Che poi è lo stato d'animo giusto per accettare di vedere il Festival in TV!

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giovedì, febbraio 14

Ormai tutti sapete che nel film attualmente nelle sale CAOS CALMO (tratto dal libro di Veronesi) c’è un infuocata scena di sesso tra Nanni Moretti e Isabella Ferrari. Tutti ne parlano. Anche l’altra sera Moretti era ospite al TG1 e il conduttore gli ha chiesto di commentare le scene osè del film. Nanni serafico ha risposto che la parola “osè” non la usa più neanche sua nonna. Addirittura la CEI parlando del film ha suggerito agli attori di fare obiezione di coscienza e non girare scene del genere. (A quando una moratoria?). I più maligni (tra cui io e buona parte dei miei amici più cari) hanno sottolineato come, guarda caso, la Chiesa parli male del film di Moretti (notoriamente laico e di sinistra) e non dica una parola sull’altro film più visto della settimana, quello di Moccia dove Roul Bova si sbatte una minorenne. Però non si vede. Ed è proprio il loro stile: minorenni + silenzio.

Ma ancora nonostante le rivoluzioni sessuali, il 68, Freud e MTV ancora il sesso sia vissuto come sporco, volgare, penalizzante??? E non è solo un problema delle istituzioni religiose. L’altra sera in palestra parlavo con un mio amico del fatto che un nostro amico comune avesse avuto degli incontri sessuali con un altro ragazzo solo per il piacere di farlo, senza provare altri sentimenti. Agli occhi del mio amico questo comportamento è un “buttarsi via”, è poco nobile, è riduttivo. Secondo lui avrebbe dovuto aspettare di incontrare una persona verso la quale provare anche sentimenti più profondi. Ma perché intanto il fatto di divertirsi con altri deve essere visto come penalizzante per il suo valore di persona?
Chi mi conosce sa che la sessualità per me non è così attrattiva, anche perché so di non essere molto passionale a letto. Per dire: non faccio sesso da più di un mese. Ma non giudico “troppo libertino” chi si fa un partner diverso a sera. Riconosco che io non sono mai riuscito a farlo, ma forse un po’ gli invidio quella leggerezza e quella semplicità nei confronti della sessualità che viene vissuta esclusivamente come libera e piacevole. Senza caricarla di aspettative, ansie, paure e valori come io invece ho sempre fatto.

E invece da più parti ci si sente sempre ripetere che la sessualità dovrebbe essere solo praticata per concepire (posizione estrema) oppure deve essere solo “sentimentale” e funzionale al rapporto di coppia.
Mi dispiace ma non ci stò. La sessualità risponde a un desiderio, un bisogno, a una qualche pulsione inconscia. Quindi le possibilità sono due. La sua rimozione (magari sublimando con altro tipo iscriversi a corsi di cucina, cucito, ricamo e recitazione). Oppure prendere atto del mio bisogno ed esplorarlo, viverlo, sperimentare. Perché questo deve fare paura? Perché deve essere giudicato “sbagliato”, “volgare” o “debilitante socialmente”?
E invece partono sempre le fanfare della “mistica della sessualità”, si deve ripetere fino allo sfinimento che il sesso è “sacro”! Perché ci vogliono far cadere nell’errore che sia qualcosa di “superiore”, che sia uno scambio talmente profondo che si debba condividere esclusivamente con l’amato/a.? Va da se che l’altra faccia della medaglia è che il sesso fuori dal suddetto “scambio profondo” è “zozzo”, lascia un po’ il tempo che trova, non ha “valore”, non è importante, è riduttivo. Insomma il sesso che “conta” rimane quello “sentimentale”, il resto è omesso. I rapporti occasionali, il “sesso senza amore” deve essere sempre “a malincuore” Bhè, sono balle! Tanto è vero che chi ha quelle posizioni poi si scarica sui chierichetti.
Io credo che come al solito le persone libere fanno paura. Perché più uno è libero, meno è disposto ad accettare regole e impedimenti. E per essere liberi bisogna conoscere se stessi. Bisogna sapere quali sono le nostre fantasie, i nostri desideri, le nostre curiosità, le nostre paure, i nostri bisogni, i nostri imbarazzi (e su questo io porto un carico non indifferente), le contraddizioni, la rabbia, le malinconie. Le esperienze sessuali ci servono anche a questo: a conoscerci . A conoscere il nostro corpo. A sapere cosa ci piace. E cosa invece non ci piace. A sapere quindi cosa cerchiamo nel mondo e a prendere consapevolezza di cosa anche possiamo offrire. Insomma bisogna sapere a “che gioco stiamo giocando” per divertirsi davvero. Ma probabilmente qualcuno non vive il sesso come divertimento.

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lunedì, febbraio 11


Stamattina un mio amico mi ha chiesto su MSN Messenger: „Come stai?“ e la mia risposta è stata: „Solido.“ Ma non è stato un refuso, una sbagliata digitazione. Non volevo dire solito. Volevo dire che mi sento un corpo solido, quando in realtà vorrei essere gassoso, leggere ed etereo e volare via. Sento la pesantezza di un corpo che mi incatena al mio essere matteo, con tutti i miei limiti e i miei difetti. Ecco come stò. Non è un bel periodo.


Jeanette Winterson scrive:
''La sofferenza è il vuoto. Uno spazio senza aria, un soffocante luogo di morte, la dimora del sofferente. La sofferenza è un palazzo-alveare, stanze come gabbie dall'allevamento, ci si siede sui propri escrementi, ci si sdraia sulla propria sporcizia. La sofferenza è una strada dove non è possibile invertire il senso di marcia, dove non ci si puè fermare. La si percorre spinti da quelli che stanno dietro, intralciati da quelli che stanno avanti. La si percorre a una velocità folle anche se i giorni sono mummificati, di piombo. Succede tutto così rapidamente, una volta che si è preso il via, non esiste alcuna àncora del mondo reale che ci faccia rallentare, niente a cui aggrapparsi. La sofferenza strappa i freni della vita, d'improvviso si è abbandonati in caduta libera. Quale che sia il nostro inferno personale, ne troveremo altri mille uguali a quello, nella sofferenza. E' la città dove gli incubi di tutti diventano realtà.''

Così è la sofferenza che si prova quando finisce un amore, a me leva il fiato, mi chiude lo stomaco e mi impedisce perfino di stare fermo o dormire. Continuo a essere confuso a non sapere cosa sia giusto o sbagliato, cosa sia vero e cosa sia inventato.
Forse mi viene da pensare che avrei dovuto aspettare che nel mio rapporto con Marco tutto andasse a rotoli, avrei dovuto passare attraverso le litigate, i drammi, le mancanze di rispetto e così magari adesso vivrei questo momento con sollievo. Oppure, se fossi intraprendente come quelli nei film, avrei dovuto guardarmi in giro (cosa che adesso mi è impossibile solo da pensare) e aspettare di trovare qualcuno che facesse chiodo schiaccia chiodo. Qualcuno che non mi facesse stare da solo, come sono ora.
Ebbene mi fa paura il rimanere da solo perchè ho paura di me stesso, NON mi piace ciò che sono perchè mi ritengo troppo poco! E, in prospettiva futura, mi spaventa la “fatica” il dover trovare un altra persona che mi ami, perchè non mi sento all’altezza.
Dunque, la fine di un rapporto, è uno dei momenti della vita in cui ci chiediamo i perchè. Perchè non è andata? cosa c’è in me che non va? Cosa avrei potuto fare e non ho fatto? Le risposte, spesso, corrispondono alle nostre più grandi paure per le quali ci sentiamo completamente nudi. Nel mio caso arriva sempre il momento in cui non c’è corrispondenza fra ciò che vorrei essere e ciò che sono. C’è sempre un ideale che mi sfugge, che però esercita un fascino perverso. Io dovrei essere così. Sento che c’è qualcosa che non va, qualcosa che manca, qualcosa che desidererei ma non ho, ma anche ho paura di avere. E parte il trip della confusione, dell’ansia, dell’incertezza.
E poi c’è il peso della consapevolezza di essere la causa della sofferenza di qualcun altro. E’ così spiazzante e doloroso sentirsi responsabili e colpevoli per ilo disagio e la sofferenza che le nostre scelte hanno portato ad altri. Vabbè mi metto un post-it sulla faccia per ricordarmi che devo cercare di essere presentabile!

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lunedì, febbraio 4


Sabato ho subito comprato il nuovo dico dei Baustelle “Amen” (oltre a “Way Out” di Alessandra Celletti e “Bad Pianos” di Little Annie e Paul Wallfisch, di cui magari parlerò prossimamente!).
Sarà che il disco è uscito durante il week end di carnevale ma credo di non essere stato l’unico a giocare con la copertina, come nella foto qui sopra!


Ma veniamo al disco! Se (come me) avete amato i precedenti lavori dei Baustelle e un po’ meno il singolo “Charlie fa surf”… bhè, state tranquilli. Il disco è un classico disco dei Baustelle, arroccato con lucida ostinazione su riferimenti estetici, musicali e tematici che vengono da lontano, dalla nouvelle vague, dagli anni 70, da Morricone e ottimi film italiani, dalla letteratura alta “sporcata” (o forse umanizzata) da eventi pop. Per molti sarà l'occasione per ribadire alcuni (pre)giudizi, positivi e non, sulla loro musica.
Nel disco si citano registi come Eric Rohmer, scrittori come Pasolini, Saffo e Baudelaire ma anche Alfredino (il ragazzo che negli anni 80 è caduto nel pozzo), i politici nostrani. Tutti in compagnia di una serie di persone “normali”: prostitute, ragazzini annoiati e tossici, partigiani, gay, ragazze innamorate ma deluse.
Il tutto viene frullato insieme fino a raccontarci una commedia (o la realtà?) umana. Ci racconta l’invasione barbarica subita dalla nostra società che è di fatto spacciata, destinata al suo lento declino. Un disco scuro, pessimista, reale, lucido, una fotografia della nostra modernità. Una modernità che va oltre ogni avanguardismo, per aspirare a una più cristallina sintonia col reale.

La voce di Rachele in questo disco è veramente eccelsa. E’ dolente e disillusa come piace a me. E’ assolutamente perfetta nella canzone ”Aeroplano” in cui sale e scende incalzando le strofe. Sublime.
Come sempre in alcuni pezzi è proprio il connubio tra le due voci di Francesco Bianconi e di Rachele, che fa uscire le cose migliore. La voce di lui che sembra sempre più personale (anche nella sua imperfezione) che di solito canta il punto di vista del singolo. Poi arriva lei con la sua voce celestiale che interpreta la società, è la voce di “tutti”, risponde alle inquietudini di lui liquidandolo con una specie di “così è se vi pare”! E’ un disco teso tra momenti di rivolta nata dalla consapevolezza dei continui “ordini-sbagliati” che ci arrivano dalle istituzione, dalla tv, dalla chiesa, dalla stato, dalla società e poi ad una resa incondizionata al sistema che si riconosce essere ormai infallibile nella sua ostinata marcia verso il degrado.Se poni resistenza da una parte, si crea una falla dall’altra. Non ce speranza di vittoria in questo sistema programmato per schiacciarci e annientarci nella nostra unicità. E’ un disco che parla della forte solitudine a cui siamo destinati per questo stato di cose. Siamo soli a fare resistenza. Siamo soli anche quando si fa sesso. Siamo soli anche quando siamo in metropolitana. Siamo solo anche quando siamo dentro un pozzo con tutta l’italia che ci guarda in tv. Siamo soli anche se abbiamo condiviso ideali e lotte con altri. Siamo soli anche nel momento della morte. E infatti le uniche vie d’uscita che il disco suggerisce sono altrettanto apocalittiche: l’estinzione, il suicidio, al morte.

Musicalmente è un disco molto vario. A volte (grazie agli ottimi arrangiamenti orchestrali) ci puoi ritrovare Endrigo “Alfredino” o Battisti. “Baudelaire” mi ricorda un po’ i Blue Vertigo, “Antropophagus” mi ricorda molto il Battiato dei primi anni, “Panico!” mi sembra una specie di omaggio a “These bots were made for walking” di Nancy Sinatra o a Dalidà!

L’anno scorso la canzone che avevano scritto per Irene Grandi “Bruci la città” era stata esclusa dal Festival di Sanremo, per poi diventare la hit dell’anno. Bhè quest’anno fanno uscire questo disco qualche settimana prima del festival dove ci scommetto non ci sarà manco mezza canzone con arrangiamenti strumentali (archi e fiati) così ben confezionati e con testi così poetici ed evocativi pur nella loro immediatezza. Bella soddisfazione, no?

Insomma i ragazzi hanno fatto centro per l’ennesima volta. Ma con una piccola riserva. A giudicare dall’attenzione dei media intorno a questa uscita e dalla macchina promozionale messa in piedi dalla Warner, si rischia che il disco diventi decisamene mainstream, andando proprio in pasto a quel tipo di società (immaginatevi quelli che guardano “Uomini e Donne” della De Filippi), che i Baustelle criticano e denunciano. Bhè sarebbe un bel corto circuito, no? Appuntamento all’Estragon a Bologna l’8 Marzo!

Voto: 5 stelline (su cinque)

PS1: le ghost track "Spaghetti Western" e "L" citate nel booklet io non le ho trovate. E Voi?
PS2: il disegnino dei Baustelle è mio. Vi garba? (cliccateci sopra per ingrandir
lo!)

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