Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

lunedì, febbraio 25


Il libro “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano (Mondadori) è stato vendutissimo nella ultime settimane grazie al passa-parola dei lettori. Ieri sera durante la rubrica di libri a “Che tempo che fa” ne hanno parlato molto bene. La scorsa settimana l’ho divorato in due notti di lettura.

“Nella serie infinita dei numeri naturali, esistono alcuni numeri speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno. Se ne stanno come tutti gli altri schiacciati tra due numeri, ma hanno qualcosa di strano, si distinguono dagli altri e conservano un alone di seducente mistero che ha catturato l’interesse di generazioni di matematici. Fra questi, esistono poi dei numeri ancora più particolari e affascinanti, gli studiosi li hanno definiti “primi gemelli”: sono due numeri primi separati da un unico numero. L’11 e il 13, il 17 e il 19, il 41 e il 43…Numeri solitari, destinati ad essere simili, a sfiorarsi ma a non confondersi mai. Man mano che si va avanti questi numeri compaiono sempre con minore frequenza, ma, gli studiosi assicurano, anche quando ci si sta per arrendere, quando non si ha più voglia di contare, ecco che ci si imbatterà in altri due gemelli, stretti l’uno all’altro nella loro solitudine.”

Ovviamente non si tratta di un trattatati di matematica, ma di un buon romanzo d’esordio. I numeri primi sono una metafora per presentarci i due protagonisti del libro: Alice e Mattia.
Entrambi hanno vissuto da piccoli dei traumi, raccontati in modo struggente e poetico nei primi due meravigliosi capitoli del libro. Questi traumi hanno lasciato dei segni visibili nei loro corpi e ferite nelle loro anime. Il trauma infantile sarà poi all’origine di numerose conseguenze in età adulta: di disturbi psicologici e psichiatrici, di anoressia, dell'affettività, della sessualità, alla devianza e all'auto- mutilazione.
I residui, i sedimenti di quelle esperienze traumatiche dei due protagonisti lavoreranno in cooperativa per ricreare sempre più spesso altri piccoli traumi ripetuti nella vita di tutti i giorni, rendendola un piccolo inferno privato. Ogni avvenimento che per gli altri può essere eccitante, ad esempio una festa o la propria laurea, per i due protagonisti diventa fonte di ansia prima e durante occasione per riconoscere nuovamente la propria diversità. Il libro ci racconterà la loro storia a partire da quei loro eventi traumatici, passando dal loro incontro durante l’adolescenza a scuola, fino al modo in cui decideranno di provare ad affrontare questa loro particolare soggettività.
I due protagonisti cercheranno di comunicare il loro disagio ad un potenziale destinatario esterno con le “loro” modalità: una rifiutando il cibo l’altro praticandosi tagli e ferite. Questi messaggi verranno pure intercettati rispettivamente dal marito di Alice e da una donna presentata da un amico per Mattia. Ma non riusciranno a decodificarne correttamente il contenuto e rispondere adeguatamente. E così verso la fine del libro si capisce che le cose potrebbero andare diversamente (l’ennesimo incidente che però non si verifica all’ultimo secondo), o addirittura non sono andate come avevamo creduto (la visione della sorella scomparsa di Mattia).
Ma invece sarà proprio la presa di coscienza di chi si è, compreso le parti più buie del nostro io più profondo, a dare un senso ai nostri protagonisti. Impareranno a superare il continuo rimpianto di non aver fatto azioni o detto cose che sentivamo di dover fare o dire ma non riuscivamo a portare a termine le nostre intenzioni. Sarà proprio la totale resa nei confronti della loro storia personale e della vita a riscattarli. Accettare con lucida oggettività la proprio diversità e farsela bastare. Smettere di credere di poter essere diversi da come si è, e di sperare che qualcuno possa colmare le nostre mancanze. Riconoscersi dei “vinti” nei confronti della vita. Ma avere anche la certezza che la brutalità del mondo 'sano' dei vincitori è infinitamente più terribile delle crudeltà del mondo dei vinti.

Ovviamente pure io ho avuto il mio bel evento traumatico da piccolo che mi ha bloccato l’uso della parola per quasi due anni e il successivo balbettare fino quasi ai 14 anni. Ma è adesso, da adulto, che i nodi vengono al pettine. Il problema arriva quando viene a mancarti la speranza che le cose cambino, di poter essere diverso. Insomma quando ti sembra che “ormai” le cose non cambieranno mai.
I protagonisti del libro lo accettano. Io continuo a dondolare tra il tentativo di accettare me stesso per quello che sono (e non mi piace) e la pulsione ad un ideale che ciclicamente mi attrae come il canto di una sirena.

E poi haimè c’è ad un certo punto si lascia travolgere. Ieri ho ricevuto un sms di un mio amico che mi comunicava di aver ingerito una confezione di lendormin con una bottiglia di gin. E poi c’è chi dice che bere faccia male: è stato proprio per il fatto che il mio amico sia astemio che ha vomitato il tutto dopo poco. Ora ripenso allo spavento e al senso di inadeguatezza che si prova in quei momenti. E non riesco a ripensare a lui e al libro che avevo letto. Al fatto che veramente a volte le ferite ricominciano a sanguinare dopo anni, al fatto che anche chi ti sta vicino non vede e non capisce, alla difficoltà di essere accettati per quel che si è.
Il mio amico l’ho sempre visto come la stabilità fatta a persona. E adesso provo un senso di sincera tenerezza quando penso al suo gesto, al preciso istante in cui ha valutato passato, presente e futuro e quest’ultimo gli deve essere sembrato un gigantesco muro nero.
Se non avessi letto il libro qualche giorno prima forse avrei bollato il gesto come un momento di debolezza. So che è una modalità di comunicazione: qualcosa voleva dirci. Voleva comunicarci un disagio che viene da lontano. Paradossalmente voleva affermare il suo desiderio di vivere una vita soddisfacente e gratificante. Forse voleva far riflettere tutti noi “la fuori” su come siamo stati superficiali o, peggio ancora, del tutto assenti.
E allora, come i numeri primi, ci ritroviamo circondati da tanti altri numeri simili a noi ma così infinitamente diversi.

Voto al libro: 4 stelline (su cinque)

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3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

matt ussignur ero alla feltri ieri.. potevi dirmelo.. adesso devo assolutamente tornare e comprare sto libro!!! lo vogliooooo

altergo vincenzo

3:52 PM

 
Anonymous Anonimo said...

matteo puoi postare con caratteri di corpo maggiore?? sennò i miei lati buii diventano illegibili visti la miopia...

4:29 PM

 
Anonymous Anonimo said...

Ehi non lo so come sono capitato qua sopra, sono mezzo ubriaco stasera, ma sarà colpa di tori amos come sempre. Comunque, ho apprezzato il tuo commento de "La solitudine dei numeri primi". Un po' meno quello sui Baustelle. Vabbè, conosco solo l'mdma di johnny che ogni tanto fa surf. Oh, se vai all'estragon fammi sapere. Un abbraccio chiunque tu sia.
Cost.

12:36 AM

 

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