Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

giovedì, novembre 29


PETER CAMERON
Un giorno questo dolore ti sarà utile
Traduzione Giuseppina Oneto
Ed. Adelphi, 2007, pp.206, € 16,50

Questo libro è un racconto straordinario sulla difficile accettazione di se, da parte di noi stessi e da parte degli altri. E’ veramente descritto con grande sensibilità quel particolare momento nella vita di ognuno in cui definiamo noi stessi, ci formiamo un’identità e cerchiamo di attribuirgli un valore.
Per farlo dobbiamo basarci su elementi cognitivi, elementi affettivi, valutazioni, paragoni con gli altri, risposte e stimoli che ci arrivano dalle nostre esperienze. Una volta che avremo interiorizzato tutto questo e l’avremo mescolato ben bene: avremo l’immagine che abbiamo di noi stessi e la conseguente autostima. Ed è proprio qui che i nodi possono venire al pettine.
Perché i media, il sistema, le istituzioni, la società spesso impongono dei modelli abbastanza precisi. Ma ci si può accorgere di non essere esattamente così, e ci si può sentire “non adeguati”. E allora si può cadere nell’errore di giudicarsi negativamente, ci si rifiuta e questo provoca un forte disagio. Nel tentativo di evitare qualsiasi esperienza che in qualche modo possa intensificare questo dolore, si corrono meno rischi sociali o professionali, si rinuncia ad incontrare le persone, si limitano le proprie capacità di aprirsi agli altri, di esprimere la propria sessualità ed il proprio bisogno di affetto, di essere al centro dell'attenzione, di chiedere aiuto e di risolvere problemi.
Però bisogna passarci attraverso questo dolore, per diventare se stessi. Ed ecco quindi che appare meno sarcastico il titolo: “Questo dolore un giorno ti sarà utile”. Per altro il protagonista viene convinto dai genitori a farsi seguire da una psicologa. I dialoghi con la dottoressa sono assolutamente geniali, ben scritti e molto “woodyalleniani” … se mi passate il termine! Il protagonista, riferendosi ai colloqui, dice: “Mi pareva una gara per vedere chi faceva saltare prima i nervi a chi. Non mi pareva molto terapeutico ma ce l'ho messa tutta per vincere”
Inutile sottolineare che questo libro mi è stato prestato da Alec, la sister, che si riconferma la libraia migliore sul pianeta!

Voto: 5 stelline (su cinque)

Domandina: io solo ho trovato molto forviante il riassuntivo nel risvolto di copertina?

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lunedì, novembre 26

Sabato sera sono andato a vedere il concerto di Rufus Wainwright al Conservatorio di Milano. Pubblico delle grandi occasioni e decisamente trasversale: gay & etero, ma anche conduttori di MTV ma anche Daria Bignardi con Luca Sofri. Insomma di tutto un po’. E già questo la dice lunga sullo stile di questo cantautore americano che riesce veramente ad assemblare insieme molte cose , come ad esempio, rendere assolutamente moderno un classico arrangiamento orchestrale.
Non avevo mai visto la sala Verdi del conservatorio, e mi ritrovo in poltroncine (strettissime) disposte in gradinate molto ripide. Infatti Rufus durante il concerto ha ironizzato dicendo che a guardarci da così in basso, pensava di essere al “Machu Picchu”. In compenso l’acustica è veramente ottima.


Guardo il palco e mi colpisce subito la scenografia fatta da una strana bandiera degli Stati Uniti. Sono troppo poche le righe. E le stelle non sono quante gli Stati degli USA, sono molte meno. E non sono neanche stelle, ma sono fiori, fiocchi di neve, ricami. A guardare meglio le stelle sono state liberate, come recita il titolo del suo ultimo disco, e si ritrovano sparse sul palco. Alcune attaccate al pianoforte. Altre per terra. Altre le ritroveremo addosso a Rufus e ai suoi musicisti. E quindi capisco che quello che mi aspetta è la rappresentazione di un idea. Quella è la sua idea della bandiera americana. Un idea di parte (mica ci sono tutte le strisce bianche e rosse), un idea dissacrante e ironica (le stelline che “fuggono”), un idea diretta e semplice. E allora pensi alla bandiera: un pezzo di stoffa che i governi usano prima come simbolo per giustificare le proprie azioni. Oppure le usano per coprire le bare di chi ci ha lasciato la pelle.
Rufus è un artista che ha dichiarato in modo chiaro la sua contrarietà all’operato del governo Bush. Spesso come contro-partita si è sentito accusato di essere “anti-americano”, quasi a voler screditare la sua posizione, e farla valutare come negativa facendo leva sull’orgoglio nazionale ferito. Ancora una volta Rufus non si tira indietro. E quella bandiera non fa altro che ricordarci che lui non è un “anti-americano”, ma piuttosto un “altro-americano”. Vuole ribadire la sua diversità. O la sua unicità. La sua idea.


Il concerto ha confermato le mie sensazioni. Rufus arriva puntualissimo sul palco alle 21.10. Il concerto inizia con il brano che da il titolo al suo ultimo disco “Release the stars”, e il relativo singolo “Going to a town”, suonato al piano in una versione (un po’ accorciata nei vocalizzi finali) che è ancora più intensa che su disco. Il suo ultimo disco la fa da padrone nella scaletta del concerto, ben 10 pezzi su 12 suonati.
Rufus è molto loquace, stimolato da un pubblico in adorazione. Si lancia in divertenti aneddoti. Per esempio racconta che nel pomeriggio il suo fidanzato aveva un incontro con alcuni responsabili della Scala, che non conoscendo Rufus hanno declinato l’invito al concerto. Ma dice che un giorno la sua musica sarà suonata pure alla Scala e anche lui, come noi stasera, potrà godersela seduto in poltrona.
Oppure durante una indimenticabile interpretazione di un suo classico “Cigarettes & chocolate milk”, eseguita da solo al piano, ha fatto qualche classica scala di note al pianoforte e rivolto al pubblico si è giustificato dicendo: “hey, stò pur sempre suonando in una scuola di musica”.
La voce di Rufus maturando è pure migliorata. E’ più piena, più decisa e più invecchia sembra sempre più deciso a giocare con le sue interpretazioni. E infatti lo spettacolo è un magico caleidoscopio di stili diversi, si passa dal classico concerto folk voce e chitarra, all’assolo di piano, a una rappresentazione più rock, fino ad arrivare all’avanspettacolo e al cabaret! Ad un certo punto canta una canzone tradizionale irlandese, senza l’amplificazione del microfono ma a voce nuda, come nelle opere liriche.
Anche dal punto visivo c’è di che divertirsi! Durante il primo set Rufus indossava un completo di taglio classico ma con inserti e fantasie un po’ carnevalesche. Nel secondo set è uscito con il costume da bavarese con brettelline e calzoni corti. E nonostante questo look più “maschile” ha interpretato due canzoni di Judy Gardland, ricordando che a fine anno uscirà il dvd con il cover show a lei dedicato. E vederlo cantare così vestito le canzoni della mitica Judy, era un tutt’uno con quella strana bandiera americana che aveva alle spalle. Era la messa in scena della sua idea di Judy, di cosa per lui significava quel pezzo.
Terminato il secondo set il pubblico ha richiesto a gran voce i bis. Lui si è fatto attendere un po’, e poi è comparso in accappatoio bianco come fosse stato richiamato sul palco dopo che era già entrato in doccia. Il primo bis da solo al piano ci regala un Rufus intensissimo. Una volta finito il pezzo si avvicina al pubblico per quello che sembra il commiato finale. E invece si sfila l’accappatoio, sotto è in tenuta da Liza Minelli in cabaret: calze di najon nere, giacca e bombetta. Con fare molto divertito si aggiunge qualche gioiello e si lancia in balli scatenati con i musicisti che gli fanno da boys!
Il concerto si chiude con Rufus versione drag queen che inforca la chitarra e suona in una stranissima posizione a gambe incrociate “Gay Messiah”, con alcuni ragazzi tra le prime file che “benedetti con lo sperma”, come recita la canzone, non fanno altro che amarsi in un clima di euforia e gran divertimento.
Le uniche grandi assenti della serata: la sua meravigliosa versione di “Halleluja” di Choen e sua sorella Martha ai cori.


Voto: 5 stelline (su cinque)

La scaletta: Release the stars / Going to a town / Sans souci / Rules and regulations / Cigarettes and coffee milk / The art teacher / Tiergarten / Leaving for Paris no. 2 / Between my legsMatinee Idol / Do I disappoint you? / A foggy day (in London Town) / If love were all / Beautiful child / Not ready to love / Slideshow / Irish folk song / 14th StreetI don't know what it is / Poses / Complainte de la Butte / Get happy / Gay Messiah

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mercoledì, novembre 21

I migliori restano single. E’ assurdo ma vero.
Prendete uno dei miei migliori amici che ho qui a Bologna. Per la legge sulla privacy lo chiameremo con il nome di fantasia “Simone” (infondo solo 3 lettere si possono trovare anche nel nome originale, e due sul nome che invece lui di solito usa dare!)
Non si spiega perché sia single. E con questo post, fatto a sua insaputa, mi piacerebbe fargli un po’ di promozione e innescare un meccanismo da tronisti stile Maria De Filippi.
Che dire di lui?
- E’ un “quasi trentenne”. L’età migliore per una storia seria perché, in teoria, sei ormai formato come persona e non dovresti più avere cambi di rotta a 360 gradi. Qualcosa può migliorare, qualcosa peggiorare, ma si tratta di dettagli, sfumature, rifiniture.
- ha un lavoro che lo gratifica e quindi difficilmente la sera o nei week end lo vedrete sbuffare o innervosirsi per malumori che si porta dall’ufficio.
- Sa dare amore in modo incondizionato. Se non ci credete chiedetelo alla sua cagnetta Africa (anche questo è un nome “quasi” di fantasia!) che da anni viene coccolata in ogni suo desiderio.
- Vive da solo, lontano da mamma e papà, con i quali però ha un buonissimo rapporto.
- E’ buffo e spiritoso e tendenzialmente le nostre conversazioni sono sempre giocate sull’ironia e anche i temi più spinosi devono essere conclusi con una battuta che li smascheri dal loro tono serio.
- Ha una forte onestà d’animo e ideali di uguaglianza che racchiudono il meglio ( e solo quello) di tutte le tre principali religioni monoteiste , del comunismo, dei precetti da boy scout e del regolamento di Miss Italia (compreso l’articolo “è vietato ridere se la concorrente che ne sei tu cade dalle scale”)
- E’ vegetariano. Integralista.
- Non ha un solo profilo in internet, non chatta, non va a battuage, non va a in dark room. Insomma è un po’ bacchettone. :-)
- E’ decisamente un bel ragazzo. E poi con i miei solleciti consigli in palestra ha anche impostato una discreta muscolatura. Certo se ti piacciono glabri ed effeminati, “Simone” non fa al caso tuo. Ci sarà un motivo se in modo benevolo lo chiamiamo “Winnie”.

Presentato così sembra l’uomo perfetto ma, come tutti, non lo è.
Anche lui ha dei tratti del suo carattere che dovrebbe un po’ smussare.
A volte “Simone” mi fa una grande tenerezza perché mi da l’impressione che viva al suo interno una eterna lotta tra l’illusione e il realismo. A volte mi sembra come una di quelle radio che a tratti si sentono benissimo e a tratti emanano solo fruscii perchè non riescono a decodificare i segnali che arrivano da una certa frequenza. A volte mi sembra che “Simone” non riesca a decodificare i segnali che gli arrivano dal suo cuore. Ha difficoltà a capire cosa prova per un partner sentimentale, non riesce a dare un nome ai propri sentimenti. La cosa migliore da fare sarebbe viverli questi sentimenti. E invece ecco che tende a volerli analizzare e a paragonarli con le aspettative e ideali che si è costruito. Purtroppo più ci pensa, meno ne salta fuori. Man mano che il suo desiderio di coppia cresce, la sua incapacità di scegliere aumenta.
Ma anch’io ero così qualche tempo fa. Vi ricordate? L'amore non si sceglie, l'amore arriva quando meno te lo aspetti. L’ho imparato io stesso. A forza. E allora ecco che mi piacerebbe che anche per “Simone” arrivasse la persona giusta. E da qui la mia idea: non dovrà scegliere lui, ma essere scelto.
In fin dei conti tutte le storie dei principi azzurri funzionano così : lui risolutore che arriva sguainando la spada (fine metafora?) a risolverle la vita in un battibaleno, mentre il cielo si scioglie in un happy end garantito Disney. E vissero insieme felici e contenti.

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mercoledì, novembre 14


Sabato ho comprato il disco “La Stagione del cannibale” degli Amor fou. Avevo già letto qualche critica positiva in giro, ma sabato quello che mi ha colpito è stata la copertina.
Intanto mi ha subito intrigato il forte contrasto tra la parola “cannibale” nel titolo e l’espressione di beatitudine della ragazza nella foto, che ha un sorriso enigmatico come quello della gioconda. Una volta che l’attenzione è stata attirata non puoi fare a meno di prendere in mano il disco e osservarlo con più curiosità. E allora i capelli scompigliati della ragazza ci dicono chiaramente che in quel letto ci ha passato un bel po’ di tempo. A dormire o a fare altro? Bhè, il trucco perfetto (anche se un po’ retrò) ci dicono che probabilmente la seconda versione è più verosimile. Si avverte la passione, la tenerezza, l’amore. Lei guarda dritta in macchina, con un espressione piena di complicità. Quindi si avverte la presenza di un secondo soggetto. Sarà lui il “cannibale”? Forse un amante non tanto sincero o forse proprio sbagliato.
Certo che nessuna ragazza di oggi si metterebbe una camicia da notte così leziosa, forse la foto ci racconta una storia passata.
E poi il nome del gruppo, soprattutto come è scritto. Sembra una parola francese, ma c’è scritto “Amor” mica “Amour”. E poi la distanza tra la parola “Amor” e la parola “fou” è falsata, tanto che a prima vista sembra un'unica parola, accentuata dal fatto che la seconda comincia con una minuscola. Se lo si legge alla francese potrebbe essere quasi un “amore pazzo”, se invece lo si legge all’italiana potrebbe essere un “amore passato”. Insomma un pazzo amore passato. Quindi prima di parlare del disco un plauso speciale alla copertina.

La band è formata da Alessandro Raina (ex voce dei Giardini di Mirò), Cesare Malfatti (La Crus), Leziero Rescigno (Soul Mio) e Luca Saporiti (Lagash).
Il disco lo si potrebbe definire un concept album (anche se Tori Amos mi ha fatto detestare questo termine…) in quanto è stato scritto dopo che il gruppo ha conosciuto una coppia di ex amanti. La storia d’amore tra queste due personaggi è nata negli anni 60 (in cui innamorati dell’amore non si facevano travolgere dagli eventi: “la facoltà di non capire è una bolla di scuse dove nuotare con te”). La love story si è conclusa il giorno della strage di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969. Questa è una data simbolica perché inaugura la strategia della tensione sociale e ha determinato i dieci anni più bui della vita politica italiana. (e infatti nel corto circuito tra il personale e il pubblico gli anni che verranno - sia per l’Italia che per i due protagonisti - possono essere riassunti nel verso “mi rende consapevole che per farsi male richiede tempo”) Ma solo negli anni ’90 i due si incontrano nuovamente e riescono a ripensare con più obiettività alla loro storia personale e di come questa sia stata influenzata da tutti i forti cambiamenti sociali e politici degli ultimi 40 anni italiani.
“La storia siamo noi”, ha ragione Giovanni Minoli. E i testi di questo disco ci ricordano che la memoria collettiva di questo paese si deve necessariamente specchiare nelle storie personali di tutti.

Se per descriverlo dovessi fare dei paragoni potrei dire che suona come se “i (primi)Tiromacino avessero studiato musica con un maestro di nome Battisti, e avessero deciso di lavorare su delle melodie abbozzate e mai finite di Tenco, avessero chiesto qualche consiglio a Paolo Benvegnù ma avessero cercato anche fare un disco moderno tenendo presente come modelli i Baustelle e i Blonde Redhead”. Mi spiego?

Personalmente ho trovato in questo disco alcuni tra i testi più belli degli ultimi anni e ottimi arrangiamenti delle tastiere.
Ad esempio uno dei testi più poetici, ma allo stesso tempo diretti e pop, è quello della canzone “due cuori, una dark room”.
“Non c’è nulla di drammatico se due uomini si baciano nella folgore di un sogno che non sa finire più. Non esiste altra realtà più necessaria del grande buio che ci fa sognare senza dormire per ore. Se la vita è solo calore e colpi di testa e non ci fa sentire più di una tremenda distanza fra testa e cuore – tra dire e fare”. E poi la bellissima descrizione della prostituta (almeno per la mia interpretazione) in “ore 10: parla un misogino”. Anche qui è forte il contrasto tra il titolo e la benevolenza e la rispettosa obiettività del testo.

Come al solito ho preparato qualche domanda al gruppo. Se mi risponderanno l’intervista verrà pubblicata presto.
Voto: 4 stelline (su cinque)

Per ascoltare qualche pezzo:
www.myspace.com/amorfou
Da qualche giorno è attivo anche il BLOG di Amor Fou, dovesaranno svelati dettagli e retroscena della storia che ha ispirato questo disco

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martedì, novembre 13

Come vi dicevo ieri, in questo periodo sono abbastanza preso con il lavoro. Devo organizzare le inaugurazioni per 4 negozi e sono alle prese con catering, hostess, volantini, inviti, piani media. Insomma, 2 palle!
Ma la vita ti sa premiare a volte! Ieri mi è ricapitata tra le mani una sensualissima canzone incisa ben 12 anni fa. Io l'ho ri-battezzata "la gatta sul pacco che scotta". La gattina è Tori Amos e il pacco è quello del Re Robert Plant, che neanche una ventina di bocche fameliche sarebbero in grado di raffreddare. Il testo parla proprio della stupidità delle persone che , correndo dietro continuamente agli impegni e alle responsabilità, tralasciano l'istinto e la loro vera natura. Che bella lezione ... proprio in questa settimana in cui non faccio altro che correre a presso a fornitori!!!!

Quindi come un mantra ho questa canzone in loop da ieri. Fatelo anche voi, ascoltatela qui!


Down by the seaside
See the boats go sailin'
Can the people hear, oh
What the little fish are sayin'
Oh, oh, the people turned away
Oh, the people turned away
Down in the city streets
See all the folk go racin', racin'
No time left, no-no
To pass the time of day
Hey, hey, yeah, the people turned away
The people turned away
So far away, so far away
See how they run, see how they run,
See how they run, see how they run
Run-run, run-run, run-run
Do you still do the twist
Do you find you remember things that well
I wanna tell you
Some folk twistin' every day
Though sometimes it's awful hard to tell
Ah-ha, ah-ha, ah-ha, oh
Out in the country
Hear the people singin'
Singin' 'bout their progress
Knowin' where they're goin'
Yeah, yeah
Oh, oh, oh, oh, the people turned away
Yes, the people turned away
Sing loud for the sunshine
Pray hard for the rain
And show your love for Lady Nature
And she will come back again
Yes she will, yes she will
Oh, oh, oh, the people turned away
The people turned away
Don't they know that they're goin'

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lunedì, novembre 12



Lo so, avete ragione! Stò aggiornando poco il mio blog.

Uno dei motivi è perchè ho fatto una piccola vacanzina in Valtellina, dove ho mangiato pizzocheri a volontà, mi sono riposato, ho fatto le terme e ho giocato con il mio fidanzato (guardate la foto, e cercate di capire cosa voglia dire stare con uno come me!).

Un pò è a causa del lavoro. (a proposito per lavoro sarò: il 17/11 a Cesena, il 23/11 a Firenze, il 30/11 a Foligno, l'8/12 a Grosseto. Se qualc1 mi legge da queste città e volesse invitarmi per un caffè.... ben venga!)

Piccolo rissunto:

Film visti che mi sono piaciuti: "La giusta distanza"di Mazzacurati, "Giorni e Nuvole" di Soldini. Ultimi dischi comprati: il nuovo dei Sigur Ros, Amor Fou "La stagione del cannibale" (di cui sicuramente farò recensione a breve!), Arthur & Yo "In Camera", Vashti Bunyan "Some things just sick in your mind".

Venerdì vorrei andare a Carpi a vedere il concerto di Jay Jay Johanson. Il suo cd "The long term physical effects are not yet known" per me è tra i dieci dischi dell'anno. Chi viene?

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