Ascoltare il nuovo disco di TORI AMOS è una strana esperienza.
Cito dalla cartella stampa: ““American Doll Posse” ci presenta Tori Amos come non l’abbiamo mai vista prima, ad interpretare cinque personaggi distinti, riuniti per plasmare una donna completa. Insieme alla figura di Amos il quartetto riesce ad offrire un ritratto avvincente del ruolo delle donne di oggi, espresso attraverso uno degli album più versatili e lungimiranti che Amos abbia mai realizzato dal punto di vista dei contenuti tematici e musicali.”
Devo dire che dopo qualche ascolto , in realtà, l’esperimento non riesce a convincere del tutto. E’ la stessa sensazione che ci provoca AnnaMaria Franzoni, si la mamma di Cogne. Dopo che la senti parlare ti chiedi sempre: “ma ci è o ci fa?”. Anche per lei sono state usate spesso parole simili a quelle usate per descrivere il disco della Amos: “L'immagine di un soggetto capace di sdoppiarsi in due personalità diametralmente diverse e quindi di compiere atti che ripugnerebbero ad una delle due.”
Ovviamente a rendere più enigmatica e meno riconoscibile questa nuova Tori Amos (oltre ai vari travestimenti del booklet, che si candida a pieno titolo come peggior copertina della storia della musica!), contribuiscono certe sonorità che difficilmente ipotizzavamo essere nelle sue corde. Alla fine dell’ascolto, per chi conosce il lavoro precedente di Tori Amos, l’impressione è di essere di fronte a un puro esercizio di stile di una delle più grandi, intelligenti, brillanti e amate cantautrici degli ultimi 20 anni. Ma si fa fatica a riconoscere come autentici per una signora di quel genere, certi nuovi impulsi musicali ed espressivi che magari sarebbero visti come più naturali verso i 20 anni.
Certo, alcune melodie e alcuni pezzi ci ricordano che stiamo ascoltando un disco d’autore, ma mi ha davvero infastidito il modo didascalico e “prevedibile” (scusate il termine un po’ vago!) che la Amos ha usato per imbeccare il pubblico, su questi cinque personaggi. Un pubblico che lei stessa ha creato e a cui ha dato tanto… fino forse ad essere ora un po’ a corto. Peccato! Insomma da una come Tori Amos ci si aspettava qualcosa di più che delle classiche soluzioni descrittive: è ovvio che sei vuoi fare quella sexy fai la voce più mielosa e se vuoi fare quella incazzata con il mondo fai la rockettara.
Ma come la storia di Cogne, prevedo un processo lunghissimo per decidere le sorti di questo disco. Sicuramente farà discutere molto i suoi fans.
Perché l’idea di base è buona. Tori Amos ci vuole dire che la vita delle persone è una messa in scena attorcigliata e che il mondo non esiste che come infinita rappresentazione. Lei adesso, superati i 40 anni, ci propone 5 diverse e possibili "soluzioni". Viviamo una volta sola, non possiamo tornare indietro e così passiamo il nostro tempo a chiederci cosa sarebbe accaduto se avessimo scelto diversamente. Consentendo ai suoi personaggi di "ritornare" indietro a piacere, di percorrere varie strade possibili, la Amos ci invita a riflettere sui giochi del caso e sui condizionamenti dl carattere nell'agire dell'uomo. Ci suggerisce che, solo che si abbia la volontà o il coraggio di spostarsi di casella, si può essere padroni del proprio futuro: è un gioco di incastri, di alternative, di potenzialità, in definitiva un gioco di spirito e di intelligenza.
Ma veniamo alla recensione pezzo per pezzo.
YO GEORGE – Un pezzo breve, solo piano e voce che ci riporta un po’ la classica Tori Amos. Molto carino, giusto come intro. E’ una critica alla politica di Gorge Bush.
BIG WHEEL – è già ascoltabile sulla sua pagina myspace e sarà il singolo americano. Secondo la divisione dei pezzi per i cinque personaggi questa dovrebbe essere una canzone di TORI. Ma il sound è una specie di country alla Shania Twain. Pezzo mediocre, ma che appunto per questo potrebbe piacere agli americani. Per lo stesso motivo per cui hanno votato Bush alle elezioni, e di cui si lamentava nella canzone precedente.
BOUNCING OFF CLOUDS – Questo sarà il singolo per il mercato italiano. A me non dispiace. Certo è decisamente pop.
TEENAGE HUSTLING – Ecco il primo salto si stile del disco. Questo è un tentato rock n’roll con batteria e chitarre elettriche. Sembra un po’ Kate Bush per i sali e scendi della voce. Il pezzo non mi dispiace in se, solo che lo vedo forzato per Tori Amos, mi manca di autenticità.
DIGITAL GHOST – Questa canzone ricorda un po’ Lennon di “Double Fantasy” Un pop barocco, traboccante di cori, sovrarrangiamenti e la sua voce, sovra dosata di echo.
YOU CAN BRING YOUR DOG - questa canzone è “interpretata” da Santa, la sexy della posse. Cito dalla cartella stampa: “Santa non accetta che la sua marcata sensualità venga giudicata come perversione. Per nessuna ragione al mondo potrà provare vergogna”. Più o meno il discorso che faceva Cristina Aguilera per il lancio di “Dirty”. La canzone è un miscuglio di stili: rock/blues/funky… non saprei definirla. Parte in modo, ho il ritornello in un altro e chiude più incazzata. Tante chitarre e batteria. Insomma non si è fatta mancare nulla.
MR. BAD MAN. E’ la più brutta del disco: diciamolo. Secondo me anche più brutta di Ireland dell’ultimo disco, che tanto aveva schifato i fans. Come descriverla? Vi dico che l’inizio del pezzo mi fa pensare alla sigla di CASA VIANELLO.
FAT SLUT: pezzo brevissimo. Che però mi convince molto. Sound più oscuro fatto solo con una chitarra distorta e voce più tagliente (molto effettata). E allora ti chiedi perché farlo durare così poco?
GIRL DISSAPEARING – piano e archi. Un classico pezzo alla Tori Amos. Bella melodia, bell’arrangiamento, ben interpretata dal personaggio Clyde che il comunicato stampa presenta così: porta i segni di tutte le sue ferite emotive, ma riesce a rimanere idealista.Sta esaminando le conseguenze del non essere una persona completa. Cerca di distinguere ciò in cui crede e di far fronte al senso di frustrazione che ha dominato la sua vita Insomma lei sarà il mio personaggio preferito.
SECRET SPELL: come bruttezza si aggiudica il secondo posto. Lo trovo imbarazzante. Stop.
DEVILS AND GODS: inizia con un arpa che tanto ricorda Bjork. Poi lascia posto a chitarra e voce in primo piano per un pezzo molto carino che ha l’unico pecca di durare solo 54 secondi. Ma perché?????
BODY AND SOUL: ricorda molto il mood di un suo vecchio pezzo “Not David Bowie”. Però non mi dispiace affatto. Batteria e piano qui “dialogano” meglio grazie ad un arrangiamento che lascia i giusti spazi ad entrambi.
FATHER’S SON: Bel pezzo. Le tastiere di Tori protagonista, aiutate da percussioni discrete e “ovattate” in secondo piano. Bello.
PROGRAMMABLE SODA: Una silly song di un minuto. Divertente e per me fa un po’ “fanfara”, un po’ retrò.
CODE RED: per me il pezzo più bello del disco. Tori qui si fa più cupa nei suoni e quando canta le parole “Code Red” sembra un lamento. Batteria, chitarre e piano. Ma ben equilibrati.
ROOSTERSPUR BRIDGE: a me ricorda il mood del disco “Scarlet Walk”. Piano, chitarre acustiche e un mood più tranquillo, più intimo. Pezzo carino, che però per me avrebbe reso di più solo piano e senza la batteria che trovo un po’ troppo presente nel ritornello.
BEAUTY OF SPEED: pezzo carino, non mi dispiace per niente. Sarà che qui il piano si sente di più anche se un po’ soffocato da batteria e chitarre. Il pezzo è più energico e deciso (come dovrebbe essere al personalità di PIP, il suo personaggio), però senza voler strafare e rimanendo un pezzo classico di Tori. Il finale del pezzo lo trovo molto trascinante e secondo me potrà rendere molto bene dal vivo.
ALMOST ROSEY: Non ho inquadrato questo pezzo. Parte dolce e mieloso, poi si fa più ritmato nel ritornello. So solo che non piacciono per niente certe schitarrate e la batteria troppo presente. Vedremo con ripetuti ascolti.
VELVET REVOLUTION: altra silly song, da 1 minuto e dieci. Tori mafiosa. Sembra accompagnata da uno Schiaccia pensieri di quelli che si usano in Sicilia. Divertente e buffa.
DARK SIDE OF THE SUN: Credetemi le note la piano iniziali ricordano molto il suo pezzo “Gardland”. Molto bella. Arrangiata meglio delle altre, questa canzone fa suonare meglio insieme il piano, le chitarre e la batteria. Canzoni contro la guerra che forse come unico difetto (se proprio bisogna trovarne uno) è il testo un po’ scontato. Ma forse è proprio impossibile non esserlo quando si dice che la guerra è brutta. Bellissima chiusura del pezzo, e di conseguenza dell’album.
Voto: 3 e1/2 stelline (su cinque).
Cito dalla cartella stampa: ““American Doll Posse” ci presenta Tori Amos come non l’abbiamo mai vista prima, ad interpretare cinque personaggi distinti, riuniti per plasmare una donna completa. Insieme alla figura di Amos il quartetto riesce ad offrire un ritratto avvincente del ruolo delle donne di oggi, espresso attraverso uno degli album più versatili e lungimiranti che Amos abbia mai realizzato dal punto di vista dei contenuti tematici e musicali.”
Devo dire che dopo qualche ascolto , in realtà, l’esperimento non riesce a convincere del tutto. E’ la stessa sensazione che ci provoca AnnaMaria Franzoni, si la mamma di Cogne. Dopo che la senti parlare ti chiedi sempre: “ma ci è o ci fa?”. Anche per lei sono state usate spesso parole simili a quelle usate per descrivere il disco della Amos: “L'immagine di un soggetto capace di sdoppiarsi in due personalità diametralmente diverse e quindi di compiere atti che ripugnerebbero ad una delle due.”
Ovviamente a rendere più enigmatica e meno riconoscibile questa nuova Tori Amos (oltre ai vari travestimenti del booklet, che si candida a pieno titolo come peggior copertina della storia della musica!), contribuiscono certe sonorità che difficilmente ipotizzavamo essere nelle sue corde. Alla fine dell’ascolto, per chi conosce il lavoro precedente di Tori Amos, l’impressione è di essere di fronte a un puro esercizio di stile di una delle più grandi, intelligenti, brillanti e amate cantautrici degli ultimi 20 anni. Ma si fa fatica a riconoscere come autentici per una signora di quel genere, certi nuovi impulsi musicali ed espressivi che magari sarebbero visti come più naturali verso i 20 anni.
Certo, alcune melodie e alcuni pezzi ci ricordano che stiamo ascoltando un disco d’autore, ma mi ha davvero infastidito il modo didascalico e “prevedibile” (scusate il termine un po’ vago!) che la Amos ha usato per imbeccare il pubblico, su questi cinque personaggi. Un pubblico che lei stessa ha creato e a cui ha dato tanto… fino forse ad essere ora un po’ a corto. Peccato! Insomma da una come Tori Amos ci si aspettava qualcosa di più che delle classiche soluzioni descrittive: è ovvio che sei vuoi fare quella sexy fai la voce più mielosa e se vuoi fare quella incazzata con il mondo fai la rockettara.
Ma come la storia di Cogne, prevedo un processo lunghissimo per decidere le sorti di questo disco. Sicuramente farà discutere molto i suoi fans.
Perché l’idea di base è buona. Tori Amos ci vuole dire che la vita delle persone è una messa in scena attorcigliata e che il mondo non esiste che come infinita rappresentazione. Lei adesso, superati i 40 anni, ci propone 5 diverse e possibili "soluzioni". Viviamo una volta sola, non possiamo tornare indietro e così passiamo il nostro tempo a chiederci cosa sarebbe accaduto se avessimo scelto diversamente. Consentendo ai suoi personaggi di "ritornare" indietro a piacere, di percorrere varie strade possibili, la Amos ci invita a riflettere sui giochi del caso e sui condizionamenti dl carattere nell'agire dell'uomo. Ci suggerisce che, solo che si abbia la volontà o il coraggio di spostarsi di casella, si può essere padroni del proprio futuro: è un gioco di incastri, di alternative, di potenzialità, in definitiva un gioco di spirito e di intelligenza.
Ma veniamo alla recensione pezzo per pezzo.
YO GEORGE – Un pezzo breve, solo piano e voce che ci riporta un po’ la classica Tori Amos. Molto carino, giusto come intro. E’ una critica alla politica di Gorge Bush.
BIG WHEEL – è già ascoltabile sulla sua pagina myspace e sarà il singolo americano. Secondo la divisione dei pezzi per i cinque personaggi questa dovrebbe essere una canzone di TORI. Ma il sound è una specie di country alla Shania Twain. Pezzo mediocre, ma che appunto per questo potrebbe piacere agli americani. Per lo stesso motivo per cui hanno votato Bush alle elezioni, e di cui si lamentava nella canzone precedente.
BOUNCING OFF CLOUDS – Questo sarà il singolo per il mercato italiano. A me non dispiace. Certo è decisamente pop.
TEENAGE HUSTLING – Ecco il primo salto si stile del disco. Questo è un tentato rock n’roll con batteria e chitarre elettriche. Sembra un po’ Kate Bush per i sali e scendi della voce. Il pezzo non mi dispiace in se, solo che lo vedo forzato per Tori Amos, mi manca di autenticità.
DIGITAL GHOST – Questa canzone ricorda un po’ Lennon di “Double Fantasy” Un pop barocco, traboccante di cori, sovrarrangiamenti e la sua voce, sovra dosata di echo.
YOU CAN BRING YOUR DOG - questa canzone è “interpretata” da Santa, la sexy della posse. Cito dalla cartella stampa: “Santa non accetta che la sua marcata sensualità venga giudicata come perversione. Per nessuna ragione al mondo potrà provare vergogna”. Più o meno il discorso che faceva Cristina Aguilera per il lancio di “Dirty”. La canzone è un miscuglio di stili: rock/blues/funky… non saprei definirla. Parte in modo, ho il ritornello in un altro e chiude più incazzata. Tante chitarre e batteria. Insomma non si è fatta mancare nulla.
MR. BAD MAN. E’ la più brutta del disco: diciamolo. Secondo me anche più brutta di Ireland dell’ultimo disco, che tanto aveva schifato i fans. Come descriverla? Vi dico che l’inizio del pezzo mi fa pensare alla sigla di CASA VIANELLO.
FAT SLUT: pezzo brevissimo. Che però mi convince molto. Sound più oscuro fatto solo con una chitarra distorta e voce più tagliente (molto effettata). E allora ti chiedi perché farlo durare così poco?
GIRL DISSAPEARING – piano e archi. Un classico pezzo alla Tori Amos. Bella melodia, bell’arrangiamento, ben interpretata dal personaggio Clyde che il comunicato stampa presenta così: porta i segni di tutte le sue ferite emotive, ma riesce a rimanere idealista.Sta esaminando le conseguenze del non essere una persona completa. Cerca di distinguere ciò in cui crede e di far fronte al senso di frustrazione che ha dominato la sua vita Insomma lei sarà il mio personaggio preferito.
SECRET SPELL: come bruttezza si aggiudica il secondo posto. Lo trovo imbarazzante. Stop.
DEVILS AND GODS: inizia con un arpa che tanto ricorda Bjork. Poi lascia posto a chitarra e voce in primo piano per un pezzo molto carino che ha l’unico pecca di durare solo 54 secondi. Ma perché?????
BODY AND SOUL: ricorda molto il mood di un suo vecchio pezzo “Not David Bowie”. Però non mi dispiace affatto. Batteria e piano qui “dialogano” meglio grazie ad un arrangiamento che lascia i giusti spazi ad entrambi.
FATHER’S SON: Bel pezzo. Le tastiere di Tori protagonista, aiutate da percussioni discrete e “ovattate” in secondo piano. Bello.
PROGRAMMABLE SODA: Una silly song di un minuto. Divertente e per me fa un po’ “fanfara”, un po’ retrò.
CODE RED: per me il pezzo più bello del disco. Tori qui si fa più cupa nei suoni e quando canta le parole “Code Red” sembra un lamento. Batteria, chitarre e piano. Ma ben equilibrati.
ROOSTERSPUR BRIDGE: a me ricorda il mood del disco “Scarlet Walk”. Piano, chitarre acustiche e un mood più tranquillo, più intimo. Pezzo carino, che però per me avrebbe reso di più solo piano e senza la batteria che trovo un po’ troppo presente nel ritornello.
BEAUTY OF SPEED: pezzo carino, non mi dispiace per niente. Sarà che qui il piano si sente di più anche se un po’ soffocato da batteria e chitarre. Il pezzo è più energico e deciso (come dovrebbe essere al personalità di PIP, il suo personaggio), però senza voler strafare e rimanendo un pezzo classico di Tori. Il finale del pezzo lo trovo molto trascinante e secondo me potrà rendere molto bene dal vivo.
ALMOST ROSEY: Non ho inquadrato questo pezzo. Parte dolce e mieloso, poi si fa più ritmato nel ritornello. So solo che non piacciono per niente certe schitarrate e la batteria troppo presente. Vedremo con ripetuti ascolti.
VELVET REVOLUTION: altra silly song, da 1 minuto e dieci. Tori mafiosa. Sembra accompagnata da uno Schiaccia pensieri di quelli che si usano in Sicilia. Divertente e buffa.
DARK SIDE OF THE SUN: Credetemi le note la piano iniziali ricordano molto il suo pezzo “Gardland”. Molto bella. Arrangiata meglio delle altre, questa canzone fa suonare meglio insieme il piano, le chitarre e la batteria. Canzoni contro la guerra che forse come unico difetto (se proprio bisogna trovarne uno) è il testo un po’ scontato. Ma forse è proprio impossibile non esserlo quando si dice che la guerra è brutta. Bellissima chiusura del pezzo, e di conseguenza dell’album.
Voto: 3 e1/2 stelline (su cinque).
Etichette: music
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