Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

lunedì, gennaio 8

Rieccomi per il primo post del 2007! Che dire? Sono state le vacanze di Natale più intense della mia vita. Potrei raccontarvi del capodanno a Siracusa, dell’i-pod che il “mio” Babbo Natale mi ha regalato, della presentazione con i miei suoceri, e di tutti i particolari di queste ultime due settimane.

Ma credo quello che ricorderò sempre con più intensità sarà un tratto di strada che abbiamo fatto in automobile nei dintorni di Siena. Il 3 gennaio io e Marco siamo partiti la casa dei suoi genitori a Roma, diretti versi Bologna. Verso l’ora di pranzo, Marco esce dall’autostrada perché ci tiene a portarmi a visitare l’Abbazia di San Galgano. Credetemi, si tratta di una location magica: sulla cime di una collina assolutamente deserta, si trova questa maestosa chiesa che fu realizzata tra il 1220 ed 1268, e che inaugurò lo stile gotico in Italia. Il tetto è interamente crollato nel 1768, e subito dopo l’abbazia è stata abbandonata, sconsacrata e saccheggiata di tutti i materiali di valore. Pertanto una volta entrati si è circondati da questa imponente architettura gotica ma se si alza gli occhi si ha il cielo e per terra c’è il prato. E’ impossibile non rimanerne affascinati. E’ un posto che annienta il dualismo di “dentro e fuori”, di “sacro e pagano”, di “nuovo e vecchio”.Questi contrasti convivono in questo posto magico, vengono annientati e non c’è più conflitto ma totalità. Non sono reduce da una sbronza di fine anno. Sono stato veramente ammaliato e profondamente toccato da questa visita.
Quando siamo ripartiti con la macchina eravamo entrambi soddisfatti, come se ci fossimo scambiati qualche eterna promessa, senza bisogno di verbalizzarla. E per una buona mezz’oretta abbiamo viaggiato, in silenzio, guardando una luna meravigliosa ed enorme che faceva capolino davanti a noi. Prima pallida e quasi invisibile, e via via sempre più accesa e quasi accecante. Marco ha messo un cd, una ristampa di un vecchio disco del 1967 dei Moody Blues. La canzone che ha scelto era “Nights in white Satin”. Io conoscevo solo la cover che nel 2003 Tori Amos aveva cantato a Parigi. Per me è stata come una preghiera. Questa canzone ha aspettato ben 40 anni, per celebrare il nostro amore in una strada in collina. Vi rendete conto? Ascoltare quella canzone, tenere la mia mano sulla sua coscia, ascoltare il suo respiro mi ha fatto sciogliere, mi ha fatto dimenticare la mia individualità, mi ha fatto sentire una cosa sola con lui. Credo sia stato amore, almeno mettendo insieme la vaga conoscenza della materia che mi sono fatto leggendo libri, guardando film e sentendo musica. La luna, la musica, la visita all’abbazia, non ultimo avere Marco accanto è stato un ‘attimo che mi ha consentito di uscire da me stesso, dalle stanze delle mie ossessioni. Io ero parte di un tutto che mi amava, e io amavo tutto quello che mi stava intorno. Il fardello dei mie drammi personali è diventato molto pesante da portare e in quel momento ho sentito la possibilità di abdicare, svestirmi di questo abito da re, abbandonare il trono del “re delle paranoie” che tanto ha condizionato la mia vita.
Questi versi resteranno impressi nella mia memoria:
La bellezza si è sempre perduta in questi occhi. Quale sia realmente la verità non sono più in grado di dirlo.
Perché ti amo sì, ti amo ti amo
Semplicemente, quello che tu vuoi esserealla fine lo sarai.
Ed io ti amo sì, ti amo ti amo.....

L’altro giorno Marco stava scaricando le foto che ci siamo fatti in quella giornata e la telefono mi ha chiesto: “Ma quanto eravamo felici quel giorno? Abbiamo delle espressioni di beatitudine e siamo bellissimi”.