Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

mercoledì, settembre 27

“Svegliarsi è cominciare a dire sono e ora. Poi ciò che si è svegliato resta sdraiato per un momento a osservare il soffitto e dentro se stesso finché non abbia riconosciuto Io, e dopo questo dedotto Io sono, Io sono ora. ..
Ma ora non è semplicemente ora. Ora è un freddo promemoria; un’intera giornata più di ieri, un anno di più dell’anno scorso. Ogni ora è etichettato con la propria data, rende obsoleti tutti gli ora passati, finchè – presto o tardi, forse – no, non forse, certamente: la cosa accadrà.
Ma la corteccia, questo severo controllore, ha preso intanto il suo posto ai comandi centrali e li ha verificati uno per uno: le gambe si stirano, la parte inferiore della schiena si inarca, le dita si tendono e si flettono. E adesso, all’intero sistema di intercomunicazioni viene inviato il primo ordine del giorno: IN PIEDI.
Obbediente il corpo si alza dal letto – trasalendo per le fitte ai pollici artritici e al ginocchio sinistro, un po’ nauseato per lo spasimo al piloro – e si trascina in bagno, dove svuota la vescica e si pesa. Poi davanti allo specchio. Ciò che vede, più che un volto è l’espressione di una difficoltà. Ecco ciò che si è fatto, ecco il pasticcio in cui è riuscito in qualche modo a cacciarsi nel corso dei suoi cinquantotto anni; espresso da un opaco, tormentato sguardo, un naso ispessito, una bocca con gli angoli piegati in giù in una smorfia, come per l’acidità delle sue stesso tossine, guance che cascano dai loro sostegni muscolari, una gola che pende floscia in piccole ripiegature rugose. Questo sguardo provato è quello di un nuotatore o di un corridore terribilmente stanchi; pure, fermarsi è escluso.
Fissandosi sempre più nello specchio, vede parecchi volti all’interno del suo – il volto del bambino, del ragazzo, del giovanotto, dell’uomo un po’ meno giovanotto – ancora tutti presenti, conservati come fossili sotto strati sovrapposti e, come fossili, morti. Il loro messaggio a questa viva creatura morente è: guardaci – siamo morti – che c’è da aver paura?
Fissa e fissa. Le labbra si socchiudono. Prende a respirare attraverso la bocca. Finchè la corteccia gli ordina con impazienza di lavarsi, di radersi, di pettinarsi. La nudità deve essere coperta. Deve vestirsi perché sta per uscire, andare nel mondo degli altri; e questi altri devono essere in grado di identificarlo. Bisogna che la sua condotta sia accettabile per essi.
Docilmente si lava, si rada, si pettina; perché accetta le proprie responsabilità verso gli altri. Si sente quasi felice di avere il suo posto tra di loro. Sa ciò che ci aspetta da lui.”

Comincia così une dei libri più belli ceh abbia mai letto "Un uomo solo" di Christopher Isherwood. Sicuramente la storia gay che più mi è rimasta dentro.
E cominciano così anche le mie giornate, in questo periodo.

1 Comments:

Blogger Limbozero said...

Molto bella davvero questa prima pagina! Lo cerco e lo leggo! Grazie.

10:56 AM

 

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