Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

mercoledì, agosto 30


Sono arrivato a Lisbona verso le 9 di sera, con un sole ancora alto. Ho preso un taxi e dalla radio mi cullavano le note della canzone “King of Pain” dei Police, cantata da Alanis Morisette. “Sono stato già qui in piedi nella pioggia che scende , Con il mondo che gira in cerchi che mi corrono per la testa. Immagino di aver sempre pensato che tu potessi mettere fine a questo regno. Ma è il mio destino essere il re del dolore. Sarò sempre il re del dolore” Guardano fuori dal finestrino si notano le case basse e abbastanza signorili della periferia ricca, e io mi godo questa canzone che incarna così bene le mie aspettative su questo viaggio. Catturare il famoso spirito malinconico che ha reso famosa questa città.

Mi faccio portare alla pensione che il mio amico Paolo aveva prenotato, catturato dalla descrizione della Lonely Planet che ne decantava le lodi partendo dal fatto che ci fossero “strepitose tende in falpalà”. La stanza è pulita e decorosa. Non c’è bagno in camera, ma in un angolo c’è un lavello senza tubature. Sotto ci sono 2 secchi: uno con l’acqua e l’altro per raccoglierla. Anche questo mi piace!

Dopo una giornata estenuante di viaggio, trasporto bagagli, pasti non consumati, ecco finalmente poter fare due passi senza doversi trascinare dietro borse o pesi. A Lisbona fa buio più tardi e nonostante siano già le dieci passate, c’è ancora luce. Da solo, senza ancora una cartina e un po’ intimorito, finisco da McDonald. Nel momento stesso in cui mi siedo e realizzo dove sono mi dico che sono proprio un “turista e non un viaggiatore”. Questa frase mi fa sorridere e mi fa tornare alla mente la vacanza dello scorso anno. Penso a Paolo che all’ultimo, per assistere il padre in ospedale, non è potuto partire. So che mi mancherà molto, ma il solo pensiero della sua energia e della sua carica positiva mi bastano per ricaricarmi.

E così comincia la mia vacanza. Non vi farò un dettagliato resoconto di quello che ho visto o ho fatto, (altrimenti poi come le riempio le serate e le cene di Settembre). Vi dirò solo alcune sensazioni e ricordi ormai indelebili di quella che mi sento di dire è la città più bella che abbia visto.

Prima di ogni cosa, parlando di Lisbona, c'è da premettere che, da qualunque parte devi andare, c'è una salita che ti aspetta. E, inevitabilmente, al ritorno, per fortuna, c'è la discesa.
La mia pensione è in una zona bellissima: ai piedi del Barrio Alto (la zona dei divertimenti serali), di fronte alla Chiesa di San Rocco (la chiesa più sfarzosa di Lisbona coperta di lapislazzuli e altre pietre preziose) e a due passi da Piazza Principe Real. Questa piazza, come suggeriva la guida, è il cuore gay della città ed è meravigliosa. Immaginate: da un lato una fontana e vicino l'enorme Cedro i cui rami devono poggiasi su una struttura di ferro per non cadere. Ci ho pranzato spesso, ci andavo nel pomeriggio a leggere, mi davo appuntamento con i mie nuovi amici. Per me sarà uno dei ricordi più vivi di questa vacanza.

Poco lontano c’è il più grande giardino botanico d’Europa. Entrando ci sono subito due serre con le piante carnivore che non fanno assolutamente presagire la vastità e la varietà di vegetazione contenuta tra i suoi viali e vialetti. Ogni pianta, o quasi, ha il suo cartellino con il nome scientifico in latino, quello volgare e la provenienza. Si intercalano esclamazioni di meraviglia a quelle di soddisfazione, per finire con una sorta di estenuazione quando si capisce che il girovagare potrebbe durare ben oltre le due ore che sono il minimo indispensabile per dare un'occhiata, seppur frettolosa, a tutto. Si esce da questo luogo colmi di gratitudine per chi è riuscito a mettere insieme tanti esemplari floreali per farcene godere.

Credo che il posto che mi ha entusiasmato di più sia stato il Monastero dei Geronimi. Capolavoro dell’arte manuelina. Bello in ogni dove. All'esterno si erge magnifico e quasi consapevole di sé. Un succedersi di guglie e finestre bianche. L'entrata principale addobbata a figure, merletti e decori di pietra. L'interno in cui troneggiano le colonne e le nervature delle volte. Stiamo qui in pieno trionfo gotico. Ma non solo. Al gotico si è unito un che di dolce e rotondo che, invece di mitigare l'ardore verso l'Assoluto, lo esalta. Qui è tutto un osannare il divino e un gridare che l'umano ne è diretta conseguenza. L’ordine dei Geronimi aveva come missione quella di dare conforto ai marinai che arrivavano in Portogallo dopo mesi di mare aperto. E in tutta la chiesa ci sono solo un paio di rappresentazioni “femminili”, per il resto è tutto una celebrazione del corpo maschile. Fra questi luoghi più che meditazione e preghiere, ci si immagina ben altro! Almeno per una mente malata come la mia.

Fantastici anche il “Museo di arte Antica” e la Fondazione Gubelkian con una collezione fantastica che va dall’arte egizia ai pittori impressionisti. La domenica è pure gratis!

Altro ricordo piacevolissimo saranno i miradouros. Si tratta di terrazzini fatti apposta per godersi il panorama, “belvedere” che si affacciano sulla città con prospettive sempre diverse. In città l'architettura è spettacolare, varia, irregolare, elegante e ridondante. I miradouros sono luoghi vivi, dove si concentrano una serie di attività relazionali, di cui, spesso, le parti nuove del tessuto urbano accusano la perdita: sono punto di incontro di bambini che si trovano per giocare, di uomini anziani che si sfidano in animose partite a carte; sono arredati con tavolini, panchine, spesso con chioschi che fungono da bar. Il fascino di Lisbona, probabilmente, è racchiuso proprio nella sua varietà e vivacità culturale, nell'unione di passato e presente, povertà e sfarzo, eccentricità e orgoglio, in un affascinante groviglio di contraddizioni.

E poi sono arrivato a Lisbona dopo aver fatto quel primo passo per conoscere il tipo della palestra. Ci siamo massaggiati prima di partire per le rispettive vacanze. In parte sono positivamente sorpreso per il fatto che qualcuno sia riuscita a colpirmi, a smuovermi e a farmi mettere in gioco. Sono arrivato a Lisbona cotto come un quindicenne. Nella fase adolescenziale vi è una tendenza ad idealizzare l’istinto, che si traduce in una intensa vita immaginativa, volta a soddisfare il bisogno di amare e di essere amati, sublimando e difendendosi dalle esigenze della sessualità. E infatti mi sono perso nelle mie aspettative, e nessun altro “corpo” è riuscito a distrarmi. Come me la sono goduta! Ho lasciato passare il tempo, aspettando il mio Godot. Come Godot rappresentava una speranza, una sicurezza, un enigma, una soluzione, una svolta positiva o un qualcuno su cui si ripone l'ultimo filo di speranza. Pessoa scriveva: "Non l’amore, ma i suoi dintorni valgono la pena. La sublimazione dell’amore illumina i suoi fenomeni con maggiore chiarezza della stessa esperienza. Ci sono verginità di grande comprensione. Agire compensa ma confonde. Possedere significa essere posseduto e dunque perdersi. Soltanto l’idea raggiunge, senza sciuparsi, la conoscenza della realtà". Ecco queste parole spiegano quanto mi abbia fatto bene quel continuo pensare al mio soggetto amoroso. Ho amato questo mio perdermi a pensarlo e ripensarlo, come sa ben fare una certa razza di amanti. La razza di chi, per dirla tutta, si sente sempre in debito con la vita e dell’amore sa anche gustare la mancata corrispondenza dei sensi. Ho vissuto questi 15 giorni come un gatto in amore. Gatto per cui l’amore è come una perenne ferita da leccare. Lui dovrebbe tornare venerdì. Vi terrò aggiornati!

Chiudo questo reportage da Lisbona con un passo di Pessoa: “Per viaggiare basta esistere. Se immagino, vedo. È in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo. La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.