Chi mi conosce bene sa che dico sempre solo la metà di quello che vorrei dire e solo la metà della metà risulta comprensibile. Il che, lo ammetto, è una valutazione generosa delle mie capacità comunicative.

lunedì, dicembre 12


Sabato sera ho visto il film “Zucker. Come diventare ebreo in 7 giorni” di Dani Levy. Protagonisti della storia due fratelli ebrei in Germania. Quando fu eretto li Muro la famiglia si spezzò. Samuel e la madre, scampata all’Olocausto, andarono a Francoforte mentre Jakob rimase a Berlino. Quest’ultimo, laico e comunista, prese le distanze definitive dal resto della famiglia e dalle sue credenze religiose e politiche. Diventato annunciatore sportivo nell’Est comunista, con il crollo del Muro perse tutto e ora si arrangia tra un locale prossimo alla chiusura, il biliardo e il gioco d’azzardo. La sua vita è sull’orlo del baratro, la moglie sta per lasciarlo, il figlio ha iniziato una procedura fallimentare contro di lui e la figlia lesbica lo odia.Quando muore la madre, per seguire le sue volontà di essere sepolta nella capitale tedesca i due fratelli si dovranno rincontrare dopo più di 40 anni di silenzio ostile. Anzi, di più, se non vorranno perdere l’eredità dovranno riappacificarsi, secondo il rito dello shivah, ovvero durante i sette giorni di lutto. Jakob intanto, mentre dovrebbe costruirsi un'identità ebraica osservante, ha la possibilità di rialzarsi dal crac economico partecipando ad un torneo di biliardo.

Voto: 3 stelline (su cinque).

Il film mi ha fatto pensare a queste cose:

- La famiglia (intesa sia come quella privata ma anche la famiglia sociale che può essere la propria religione, il proprio partito politico etc) dovrebbe essere il pilastro della società. I genitori pretendono di cambiare la vita dei figli, di scegliergli gli studi, la moglie, il marito, il lavoro. Tutto questo per "il loro bene". Ma cosa è meglio della libertà, anche di sbagliare?
I protagonisti del film si “ritrovano” solo dopo aver ammesso di essere diversi da come gli altri si aspettano. Finchè cercano di tenere nascoste le loro “vere identità”, non riescono a rapportarsi se non con astio e cattiveria. Solo dopo che la moglie farà capire al marito di non amarlo più riuscirà a entrare in confidenza con lui, solo dopo che la figlia farà sapere di essere lesbica riuscirà a parlare con il padre, solo dopo che il figlio avrà fatto capire di essere vergine riuscirà ad avere una donna, e solo dopo che i due fratelli decideranno di non voler seguire il comandamento della madre riusciranno a celebrarne la morte. Finchè si cerca di sembrare diversi da come si è (o si vuole essere) non si riesce a vivere serenamente, si alimentano solo false aspettative che poi saranno irrimediabilmente disattese: “se scambi un sasso per pane, non puoi lamentarti se quando lo mangi ti rompi un dente.” L’eredità che alla fine i fratelli perdono è la metafora dell’accettazione sociale, la ricompensa che dobbiamo avere il coraggio di non ricevere e di perdere.

- Il film è un classico gioco degli equivoci. Ancora una volta è evidente come si subisca il fascino dei bugiardi. Mentire! Mentiamo tutti, e lo facciamo talmente spesso che quasi la metà delle nostre chiacchiere quotidiane è, se non proprio falsa, quanto meno "non del tutto vera". La ragione? Secondo numerose ricerche scientifiche la bugia ha un elevato valore sociale, contribuisce a facilitare i rapporti, affina le capacità intellettive. E’ stato calcolato che in media ognuno di noi dice 200 bugie al giorno, praticamente una ogni 7 minuti.
Il problema è che spesso si riesce a capire che qualcuno mente ma si resta lo stesso affascinati dal bugiardo di turno. Insomma più sono mascalzoni…più ci piacciano. E sfido chiunque a non trovare irresistibile il protagonista del film.